Comune di Staffolo, Staffolo (Ancona), sec. XII seconda metà -
Ente
Estremi cronologici: sec. XII seconda metà. -
Intestazioni:
Comune di Staffolo, Staffolo (Ancona), sec. XII seconda metà -
Altre denominazioni:
Comune di Staffolo
Le vicende storiche riguardanti Staffolo, il cui toponimo compare la prima volta nel 1078 e, nei documenti diplomatici, a partire dal 1150, sono strettamente connesse alle pretese egemoniche della potente città di Jesi, in particolare per i secoli XII-XV, sul suddetto castello.
Nel Duecento, per la piccola comunità di Staffolo, si alternarono anni di relativa indipendenza e libertà e anni di soggezione alla città di Jesi.
Nel 1251, ad esempio, la comunità di Staffolo fu costretta a sottomettersi e a sottostare ad alcuni onerosi servigi, nei confronti della città dominante, quali la fornitura di uomini armati e la presentazione alle autorità politico-militari di Jesi, una volta all'anno, in occasione della festa di san Floriano protettore di quella città, di un pallio "bonum, decentem et convenientem". In varie occasioni furono ristabiliti i confini fra Jesi e Staffolo, come ad esempio nel 1287 e nel 1294 (1).
Nel 1263 gli abitanti di Staffolo furono posti sotto la giurisdizione di Osimo, alla cui diocesi appartenevano; cinque anni più tardi essi ottennero nuovamente l'indipendenza (2).
Nella "Descriptio Marchiae Anconitanae", importante fonte documentaria compilata nel 1356, Staffolo risulta compresa nell'elenco delle "comunitates" o "terre" più piccole del Presidato della Marca. Dalla suddetta fonte si apprende che la comunità era comunque tenuta ad inviare un baiulo alla curia del suddetto organo di governo e, soprattutto, al pagamento di gravosi balzelli alla Camera apostolica (3).
Nel 1379 Staffolo e altri castelli furono assolti dalle censure per essersi ribellati alla Chiesa e aver aderito ai nemici e persecutori di essa (4); altra assoluzione fu concessa a distanza di pochi anni, nel 1387 (5).
Nel 1407 il comune di Staffolo sostenne innanzi al sindaco generale della Marca in Macerata il proprio diritto di eleggere il podestà e gli altri suoi ufficiali, e di sottoporli a sindacato al termine del loro ufficio, secondo quanto contemplato in apposito privilegio pontificio (6).
Nei primi decenni del XV secolo Staffolo fu posta dapprima sotto la dominazione dei Malatesta, alla quale succedette quella degli Sforza.
Nel XVI secolo, con il consolidarsi del dominio della Chiesa e a seguito delle riforme amministrative di Sisto V, mutarono gli organi di governo nei territori dello Stato pontificio. L'antico Parlamento della Marca, retto dai legati della Provincia, fu sostituito dalla Congregazione generale della Marca, con sede in Macerata, di cui facevano parte rappresentanti di tutti i comuni; tra questi anche Staffolo, che figura tra le comunità "in quarto gradu", ovvero il più basso.
A metà del Cinquecento, la comunità di Staffolo si diede uno statuto il cui testo era esemplato da quello di Filottrano. Detto statuto, approvato secondo il Cecchi nel 1544, o 1545 o 1546, è articolato in 5 libri dei quali il primo, costituito da 80 rubriche, riguarda le magistrature cittadine (7).
Al vertice dell'amministrazione di Staffolo vi era il podestà il quale, in occasione della propria "installazione", giurava fedeltà e obbedienza al rettore della Marca anconitana, alla quale apparteneva Staffolo. L'ufficiale si impegnava solennemente a perseguire il bene della comunità, a difenderne i diritti e il territorio, a mantenere l'ordine pubblico, a predisporre gli oggetti delle sedute consiliari e ad amministrare la giustizia secondo le norme degli statuti e delle costituzioni generali di Santa Madre Chiesa. Egli, inoltre, si doveva accertare che multe, tasse e imposte fossero riscosse (rubrica XVII); era poi tenuto a vigilare sull'andamento amministrativo della comunità e a non familiarizzare più di quanto dovuto con la popolazione locale. Al termine del proprio mandato, che aveva la durata di un semestre, egli veniva sottoposto a sindacato. Per agevolare l'esercizio delle proprie mansioni, il podestà si poteva giovare di un vicario (rubrica VIII). Quest'ultimo, dopo aver giurato davanti al notaio cancelliere e al primo consiglio generale convocato subito dopo il suo ingresso in carica, provvedeva a redigere gli atti criminali e a celebrare i processi nei giorni dovuti (rubrica XI).
L'organo principale di governo era costituito dal consiglio generale della comunità, formato in genere da 24 membri, il quale esercitava poteri di discussione e di decisione su qualsiasi materia (rubrica XXVIII). Non sono stabiliti, nello statuto, la durata della carica dei consiglieri, né le modalità di nomina degli stessi.
Per il disbrigo delle pratiche più importanti e complesse, come ad esempio quelle attinenti alla finanza e alla nomina di nuovi magistrati, era operativo il cosiddetto consiglio di credenza, costituito da 12 membri ovvero 4 per terziere, i quali, previo giuramento, rimanevano in carica vita natural durante e potevano essere rimpiazzati da persone scelte fra i consiglieri del consiglio generale (rubrica XXX).
L'organo esecutivo era rappresentato dai 3 priori, detti anche "il magistrato" del comune (rubrica XXXI), ai quali, in ragione delle specifiche responsabilità di governo, erano richiesti decisione e fermezza ma anche equilibrio e prudenza. Rimanevano in carica due mesi e le decisioni prese erano valide solo se almeno due di essi erano presenti. Non spettava ad essi affrontare questioni di giustizia, che invece erano demandate al podestà; il loro operato era proteso piuttosto ad opporsi alle spese inutili, a curare le opere pubbliche, specialmente di difesa, e a pacificare e a sedare discordie e inimicizie. Al termine del mandato, i priori provvedevano ad informare per iscritto i loro successori delle pratiche pendenti e a compilare un inventario dei mobili consegnati ad essi dal comune per la loro abitazione.
La registrazione delle entrate e delle uscite del comune era attribuzione specifica del camerlengo, ufficiale in carica due mesi il quale era tenuto a verificare la regolarità di tutte le operazioni contabili della comunità.
La tutela dei beni di proprietà comunale, nonché la facoltà alienare, acquistare e dare in affitto i beni immobili della comunità erano affidati al sindaco generale (rubrica LI), funzionario che agiva con pieno, libero e generale mandato del comune. Un sindaco di tipo particolare svolgeva compiti di rappresentanza della comunità presso la curia del governatore della Marca.
L'assetto istituzionale di Staffolo, appena delineato, rimase immutato per due secoli, ovvero dalla seconda metà del XVI secolo alla fine del XVIII. Ma la dominazione napoleonica, che si protrasse in Italia per quasi un ventennio, con esclusione del periodo 1800-1808, lasciò profondissime tracce in ogni settore, ivi compreso quello dell'amministrazione territoriale in tutti gli stati di antico regime.
Per quanto riguarda lo Stato pontificio, con particolare riferimento ai domini già appartenenti alla Marca, in forza della "Legge sulla divisione del territorio della Repubblica romana" del 2 germile anno VI (22 marzo 1798), furono creati i Dipartimenti, fra i quali quello del Musone avente come capoluogo Macerata. I dipartimenti furono suddivisi in cantoni e i cantoni in comuni (8).
Per quanto riguarda il caso specifico del comune di Staffolo, non sono pervenute le carte prodotte durante il periodo della prima Repubblica romana; tuttavia, date le dimensioni dell'ente, e considerata la normativa allora vigente, la comunità fu sicuramente retta da un edile e da un aggiunto.
La mancanza di documentazione investe anche gli anni successivi, ovvero il periodo compreso tra il 1800 e il 1807, quando il potere pontificio fu ripristinato.
Negli anni dal 1808 al 1815 la comunità di Staffolo entrò a far parte del Regno italico, Dipartimento del Musone, Distretto I. Dalla documentazione inventariata si sa che la municipalità di Staffolo nel 1815 era amministrata dal sindaco Giacobini, dai 2 "anziani" Gaudini e Pittigliani e dal consiglio, costituito da 13 membri (9).
In seguito alla disfatta napoleonica, con il motu proprio di Pio VII del 6 luglio 1816, in vigore dal 1° agosto successivo, fu codificata l'amministrazione periferica dello Stato pontificio.
La suddetta norma prevedeva l'abolizione di tutti gli statuti municipali redatti anteriormente al 1798 e la costituzione, in ogni comune, di due organi collegiali: il consiglio, formato da un numero di membri rapportato alla popolazione, per la trattazione di affari di interesse comune, e la magistratura, espressione del potere esecutivo, presieduta da un gonfaloniere coadiuvato dai cosiddetti "anziani", per deliberare in ordine all'andamento amministrativo della comunità.
Le deliberazioni adottate dal consiglio comunale di Staffolo nel periodo della seconda Restaurazione pontificia non sono pervenute. Tuttavia si è potuto evincere, esaminando il carteggio amministrativo dell'epoca considerata, che il consiglio era costituito da 24 membri, fra i quali due sacerdoti in rappresentanza del clero regolare e secolare, così come previsto dalla normativa vigente, un enfiteuta e 21 appartenenti al ceto dei possidenti (10).
Il motu proprio di papa Leone XII emanato il 21 dicembre 1827 dispose il trasferimento delle funzioni proprie del gonfaloniere ai priori, i quali erano coadiuvati da due anziani che assunsero la denominazione di aggiunti. La magistratura comunale di Staffolo, nel 1854, era costituita dal priore Pietro Cotini, dagli aggiunti Saverio Pellegrini, Domenico Pagnucci, Leopoldo Giacobini e Cesare Zaccagnini; del consiglio comunitativo facevano parte, oltre ai suddetti, don Agostino Marrocchi deputato del clero e 12 consiglieri (11).
Nel settembre del 1860 si verificò, com'è noto, nei territori delle Marche e dell'Umbria, già soggetti alla dominazione pontificia, il trapasso al nuovo assetto dello Stato che è quello del Regno d'Italia.
Il 29 settembre 1860 si insediò a Staffolo la commissione provvisoria di governo, formata da Antonio Leoni presidente, Pietro Gaudini e Domenico Cotini. Il 20 ottobre successivo la nomina dei suddetti membri fu ratificata dal regio commissariato della provincia di Ancona, tramite nota n. 145, ma all'elenco di cui sopra furono aggiunti i nominativi di Terenzio Guidomei e di Francesco Stoppoloni (12).
Dal verbale della seduta consiliare del 29 ottobre 1861 si conosce il nominativo del primo sindaco postunitario di Staffolo, Pietro Gaudini, degli altri componenti la giunta municipale (gli assessori Vitaliano Bastucci e Pietro Cotini), e i nominativi di 12 consiglieri (13).
Nel 1911 il consiglio comunale di Staffolo fu sciolto, con regio decreto del 26 novembre, e subentrarono nell'amministrazione dell'ente 3 regi commissari: Roberto Liberti dal 6 dicembre fino al 16 dicembre; Damiano D'Arcais che esercitò solo nel giorno 28 dicembre 1911, infine Giuseppe Canilli dal 13 gennaio 1912 fino al successivo 2 maggio. Il 2 maggio 1912 assunse la presidenza l'assessore anziano Vincenzo Tesei e si procedette alla nomina del sindaco, per la quale fu designato Basilio Stoppoloni; nella stessa seduta furono nominati i due assessori effettivi Oreste Bastucci e Vincenzo Tesei, oltre a due assessori supplenti (14).
In esecuzione del decreto legge 15 aprile 1928, n. 952, il comune di San Paolo di Jesi, confinante con quello di Staffolo, fu aggregato a quest'ultimo. Il comune di San Paolo riacquisì definitivamente l'autonomia con l'entrata in vigore del decreto n. 165 del 2 marzo 1948. In ragione dei mutamenti istituzionali che interessarono il comune di San Paolo nel ventennio 1928-1948, si precisa che una parte della documentazione prodotta dal suddetto comune è tuttora conservata presso l'archivio storico comunale di Staffolo.
Durante il periodo del Ventennio furono attuate, com'è noto, importanti innovazioni riguardanti, tra l'altro, l'assetto degli enti pubblici territoriali, segnatamente i comuni.
La legge 4 febbraio 1926, n. 237 ed il regio decreto legislativo 3 settembre 1926, n. 1910 disposero l'abolizione del sistema elettivo degli organi amministrativi comunali. Le stesse norme introdussero la figura del podestà che era un ufficiale governativo, di nomina regia, posto a capo dei comuni al di sotto dei 5000 abitanti.
In esecuzione delle citate leggi, a Staffolo il consiglio comunale deliberò fino 13 marzo 1926. Dal 18 maggio 1926 l'amministrazione fu retta da Pietro Tesei, che fu il primo podestà, nominato con regio decreto del 14 maggio (15).
Altri podestà si succedettero fino al 1943, anno in cui il comune di Staffolo fu sottoposto a commissariamento e fu retto dai commissari Mario Marini, nel periodo dal 31 dicembre 1943 al 1° febbraio 1944, Aldo Balducci per il solo giorno 1° marzo 1944, infine Berti Krüger, nominato con decreto del capo della provincia di Ancona n. 1616 del 14 aprile, dal 20 aprile 1944 al 24 luglio dello stesso anno. Tre giorni più tardi, il 27 luglio, i poteri furono assunti dal Comitato di liberazione nazionale, nelle persone di Federico Camerucci, Bruno Zorzi, Pietro Fiorentini, Guglielmo Mancini, Fausto Bastucci, Alfio Rosati e Alberto Macci. In quella seduta fu eletto sindaco Federico Camerucci, che accettò l'incarico, e la giunta provvisoria costituita da 5 persone che davano "sicuro affidamento di bene amministrare la cosa pubblica in attesa che con la costituzione in corso dei singoli partiti, vengano designati dei rappresentanti che legalmente siano l'espressione politica di ognuno di essi"; si trattava di don Marino Massaccesi, Didimo Serantoni, Mario Fedicicchi, Vespasiano Cherubini e Achille Barboni.
Nella seduta del Comitato di liberazione nazionale di Staffolo datata 12 settembre 1944 si procedette alla nomina definitiva della giunta e alla designazione di due rappresentanti di ogni partito per l'amministrazione del comune. I nominativi proposti furono quelli di Bruno Zorzi e Didimo Serantoni per il Partito d'azione, don Marino Massaccesi e Pietro Fiorentini per la Democrazia Cristiana, Alfio Rosati e Natale Cesarini per il Partito comunista, Achille Barboni e Vespasiano Cherubini per il Partito socialista. La prima adunanza della giunta si tenne nella stessa data del 12 settembre 1944 (16).
Dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, in esecuzione del decreto legge luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1 con cui venivano ripristinati gli organi collegiali di governo, si svolsero le elezioni comunali il 17 marzo 1946 e nella seduta consiliare del 13 aprile successivo furono esaminate le condizioni di eleggibilità dei consiglieri comunali eletti, a norma dell'art. 53 del citato decreto legge. Dal verbale della seduta si apprende che il consiglio era costituito da 19 membri, più uno assente. Al secondo punto di discussione era prevista la nomina del sindaco, per la quale carica fu designato Federico Camerucci, e quella della giunta, dalla quale votazione risultarono eletti Pietro Fiorentini, Aurelio Bartelucci, Vespasiano Cherubini e Natale Cesarini, assessori supplenti Federico Marasca e Achille Barboni (17).
Redazione e revisione:
Angeletti Vittorio, 31/12/2010, Intervento di ordinamento ed inventariazione
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