Comune preunitaro di Alviano, Alviano (Terni), 1569 - 1860
Ente
Estremi cronologici: 1569 - 1860
Intestazioni:
Comune preunitaro di Alviano, Alviano (Terni), 1569 - 1860
Altre denominazioni:
Comune preunitario di Alviano
/ Comunità di Alviano
[ Desunta dalla documentazione pervenuta. ]
Nei documenti medievali Alviano viene citata con il nome di "Albianum", toponimo prediale indicante possesso, fondo, podere di una gens. Il riferimento sembrerebbe essere alla gens Albia, che qui avrebbe avuto un suo possedimento con villa campestre. L'origine del feudo di Alviano risale, invece, all'anno 996, quando un certo conte Offredo, giunto dalla Germania al seguito di Ottone III, fece costruire il "castrum" o Rocca d'Alviano e ne divenne feudatario, dando così inizio alla famiglia degli Alviano.
Nel medioevo, le vicende di Alviano si legano intimamente a quelle dello Stato pontificio, sotto la cui dipendenza rimase per tutto il periodo di antico regime. Tra XI e XII secolo gli Alviano divennero potentissimi, estendendo, con il beneplacito della Chiesa, di cui si dichiaravano fedeli sudditi, il proprio dominio su tutta la Teverina e in altre zone dell'Umbria e delle Marche. Lo "Status Alviani" divenne il più vasto e potente dell'Umbria sud-occidentale, ed all'interno di esso Guardea occupò la posizione di maggior rilievo. Nell'ambito delle lotte tra guelfi e ghibellini, la politica dei conti di Alviano si orientò verso la guelfa Orvieto, di cui, nel XIII secolo, divennero domicelli. Con il pontificato di Martino V (1417-1431) si assistette ad una radicale riorganizzazione dello Stato pontificio, basata sull'articolazione dei territori della Chiesa in ampie circoscrizioni territoriali, denominate province. L'opera di creazione di un proprio sistema di giurisdizioni periferiche da parte della Chiesa, tuttavia, si scontrò con due realtà: le città, organizzate in Comuni, dove funzionavano magistrature locali, emanazione delle autorità cittadine, e le signorie feudali. La costruzione dello Stato pontificio richiedeva in primo luogo la creazione di strutture che assicurassero la possibilità per il potere centrale di tenere sotto controllo i poteri locali. Tale organizzazione era basata sulla distinzione delle città in "immediate subiectae", ovvero soggette per via diretta alla Santa Sede, e "mediate subiectae", ovvero sottoposte ad un signore laico od ecclesiastico legato al pontefice da un rapporto diretto, riunite in organizzazioni provinciali, inizialmente cinque (Romagna, Marca, Umbria, Patrimonio e Campagna-Marittima), cui poi si aggiunsero Bologna, Ferrara ed Urbino, che peraltro godettero di uno status particolare. Al governo provinciale era preposto un governatore, rappresentante in sede locale del governo pontificio e garante della sua stabilità. In quanto figura di nuova istituzione, i governatori si sovrapposero alle magistrature cittadine, stabilendo con esse dei rapporti. In alcuni casi, il governatore non fu altro che la trasformazione dell'antico podestà, la cui nomina fu avocata dalla Santa Sede. In questa prima fase di restaurazione del potere pontificio, le magistrature comunali ebbero salvaguardate, almeno formalmente, le proprie attribuzioni, ed il governatore si affiancò ad esse come organo di vigilanza sulla corretta amministrazione, in particolare della giustizia, e di tutela dell'ordine pubblico.
Tale processo di ricostruzione dello Stato della Chiesa passò anche attraverso la riorganizzazione dell'amministrazione finanziaria, sia centrale che periferica. Nelle province si ebbe la ricostituzione delle tesorerie provinciali, incaricate di riscuotere le imposte e le contribuzioni dovute da città e feudatari. Le entrate riscosse dalle tesorerie provinciali variavano da provincia a provincia e da comunità a comunità. Uno dei pochi proventi riscossi in maniera pressoché uniforme per tutto lo Stato era quello derivante dalla vendita coatta alle singole comunità di quantitativi predeterminati, a prezzo prefissato, del sale. Nel XVI sec. si ebbero le prime imposizioni sostanzialmente uniformi per tutto lo Stato, e la prima di queste andò a colpire per l'appunto il sale, il cui prezzo, in seguito ad una bolla emanata da Paolo III il 21 aprile 1539, venne aumentato.
Nel corso del Cinquecento si assistette contemporaneamente ad un progressivo consolidamento dell'organizzazione centralistica dello Stato della Chiesa, realizzato attraverso la creazione delle Congregazioni cardinalizie, conseguenza della politica di Sisto V (1585-1590). La regolamentazione della vita amministrativa della periferia venne affidata alle congregazioni della Sacra Consulta e del Buon Governo. La prima, creata nel 1559, soprintendeva al governo politico e civile dei comuni, vigilando sull'elezione dei magistrati (controllava la nomina delle magistrature, la formazione dei bussoli, la composizione dei consigli comunali); la seconda, invece, vigilava sulla gestione economico-amministrativa delle comunità. In seguito a questo loro potenziamento, gli apparati centrali acquisirono un'elevata capacità di influire direttamente, dirigendole, sulle attività dei governi locali. Sul piano politico, ad esempio, tutti i governi, provinciali e no, vennero a dipendere dalla Consulta, che impartiva direttive e vigilava sulla loro esecuzione. Nel corso del XVII sec. si ebbe, pertanto, una riduzione dei poteri e delle competenze dei governi comunali locali a favore dei governatori pontifici e, a loro volta, di questi ultimi nei confronti delle congregazioni romane. La Comunità di Alviano rientrava tra le terre del Patrimonio di San Pietro, con capoluogo Viterbo, e precisamente tra quelle definite "mediate subiectae", ovvero poste sotto l'effettiva sovranità del papa, ma possedute per diritto di feudo da baroni e domicelli, il cui dominio era utile e subordinato al dominio della Chiesa. Pur nella dipendenza dalla Camera apostolica, Alviano fu, infatti, sempre un feudo e, fatta eccezione per il lungo dominio rappresentato dalla famiglia degli Alviano (996-1537), conobbe dopo la morte di Livio d'Alviano, figlio di Bartolomeo d'Alviano, la dominazione di numerose famiglie.
L'8 ottobre del 1537, infatti, papa Paolo III Farnese obbligò Pantasilea Baglioni, madre di Livio, e le figlie a lasciare i castelli di Alviano, Guardea, Attigliano e tutti gli altri possedimenti, che vennero devoluti alla Camera apostolica, in nome della quale gli Alviano li avevano governati. L'ex "Status Alviani"cadde in mano di Pier Luigi Farnese, figlio del papa, e venne unito al Ducato di Castro e Ronciglione, creato all'interno del Patrimonio nel 1537 riunendo tutti i piccoli feudi della Teverina e del Viterbese dipendenti dalla Camera apostolica e donato ai Farnese, che, non potendoli governare di persona, affidarono i singoli territori a vari baroni locali. Il 20 aprile del 1570, così, Alviano venne acquistato da Giovanni Rinaldo Monaldeschi, che nello stesso anno ne nominò padrone per metà Monaldo Clementini di Orvieto. Questa proprietà congiunta Monaldeschi-Clementini durò fino al 1600, allorquando tutto venne riacquistato da Gian Rinaldo Monaldeschi. Nel 1644 il castello di Alviano venne acquistato dal marchese Marcello Raimondi di Savona, il quale, però, nel 1654 venne accusato di omicidio ed i suoi beni passarono al fisco e vennero messi all'asta per ordine di papa Innocenzo X. L'asta fu vinta da donna Olimpia Maidalchini Pamphili, principessa di San Martino del Cimino e cognata del papa, che al prezzo di 265.800 scudi acquistò tutti i possedimenti del Raimondi nella Teverina, tra cui i castelli di Alviano, Attigliano, Poggio e Montecalvello. Iniziò così il dominio della famiglia Pamphili - poi, dal 1760, Pamphili-Doria - su Alviano, che sarebbe continuato fino al 1816, allorquando si ebbe la soppressione di tutti i governi feudali.
Pur nella sudditanza alla Chiesa e nonostante la corsa dei vari principi o "baroni" romani per averne la proprietà, Alviano tentò un'organizzazione comunale in qualche modo autonoma, mantenendo, sebbene esautorate di ogni potere politico, le proprie magistrature secondo una forma di governo diarchico. Gli organi attraverso i quali la Comunità manifestava il suo volere erano il consiglio generale ("Pubblico e generale Consiglio della Magnifica Comunità della Terra d'Alviano") e la magistratura collettiva dei priori. Il consiglio generale rappresentava il principale organo collegiale della Comunità, cui spettava l'amministrazione ordinaria. Esso era composto dai priori e da un numero fisso di consiglieri stabilito dallo statuto o dalla consuetudine. Il podestà o governatore presenziava alle adunanze. I priori, invece, erano in numero di quattro, duravano in carica quattro mesi e venivano eletti in pubblico consiglio tramite estrazione dal bussolo. I nominativi dei quattro priori eletti venivano poi nuovamente imborsati per l'estrazione del capo-priore. Dall'analisi dell'unico registro relativo ai possessi dei magistrati della comunità di Alviano, si apprende che l'elezione dei priori avveniva in presenza del podestà (governatore), e che a volte era lui stesso ad estrarre i nominativi dal bussolo. I priori entranti prestavano giuramento davanti al podestà e ai predecessori, impegnandosi, tra le altre cose, ad "osservare la Bolla Super Bono Regimine, e tutti l'ordini, e decreti della Sagra Congregazione del Buon Governo". I priori uscenti venivano, invece, sottoposti a sindacato (i "sindicatori" erano in numero di due e venivano eletti dal consiglio pubblico), e dovevano riconsegnare tutti i libri e le scritture esistenti nella segreteria priorale comunale, le chiavi della cassetta priorale dove era riposto il "sigillo communitativo", e le polizze del grano "accredensato". Tutti i funzionari cui spettava il compito di amministrare i beni della Comunità venivano sottoposti a sindacato.
Tra i funzionari comunali, particolarmente importanti erano inoltre il segretario priorale e il depositario della comunità. Al primo era affidata la segreteria comunale, per cui redigeva i verbali delle adunanze del pubblico consiglio, rogava tutti gli atti relativi alla vita della comunità quali appalti, affitti ed "instrumenti", e svolgeva, inoltre, la funzione di cancelliere del podestà. Il depositario era, invece, il gestore delle casse comunali, ovvero colui cui spettava il compito di riscuotere i crediti ed effettuare i pagamenti.
Dall'analisi dei documenti, emergono altre figure intorno alle quali si organizzava la vita comunale, alcune espressione delle forme di autogoverno locale, ovvero il baiulo, gli estimatori, l'esattore camerale, il temperatore dell'orologio pubblico, il maestro di scuola, il chirurgo, il portalettere, altre come il castellano, l'agente del signore e le "guardie campestri", appositamente create per curare gli interessi del feudatario.
Gli abitanti della Comunità di Alviano godevano dei cosiddetti "usi civici", avevano cioè sui terreni seminativi e boschivi tutta una serie di diritti come utenti: diritto di seminare e raccogliere, diritto di pascolo, diritti di raccogliere la ghianda, diritto di tagliare la legna. L'origine di questi diritti si fa risalire alla solenne donazione fatta nel 1475 dal signore Francesco d'Alviano, padre di Bartolomeo di Alviano, in favore dell'università e del popolo di Alviano, per effetto della quale a tutti i naturali di Alviano ed a ciascuno di essi era stata concessa la facoltà di occupare liberamente le case situate entro il castello, nonché le terre tutte comprese nella giurisdizione baronale, col solo obbligo di corrispondere il terratico ai feudatari (ovvero la quarta parte del prodotto annuale dei fondi occupati).
Accanto alle magistrature propriamente comunali, si pone la figura del podestà, poi governatore, cui spettava il ruolo di garante nell'amministrazione della giustizia e in materia di ordine e di sicurezza pubblica, che, in seguito al processo di riorganizzazione dello Stato pontificio, a livello sia centrale sia periferico, si trasformò in un dipendente del potere centrale, determinando la definitiva riconduzione dell'amministrazione locale della giustizia in ambito statale. Come si desume da una lettera conservata presso l'Archivio Segreto Vaticano, la sua nomina spettava, infatti, un anno alla Camera apostolica e l'altro al signore, essendo Alviano un feudo e quindi sede di governo baronale. Tale notizia è confermata, oltre che da quanto si desume dall'analisi del registro dei possessi dei magistrati della Comunità d'Alviano, anche da un'altra lettera indirizzata a donna Olimpia Maidalchini-Pamphili e conservata nell'archivio Doria-Pamphili, dove, parlando del feudo di Alviano, si dice che: "[...] della giurisdizione però ne gode hoggi la Camera la metà, di modo che, un anno sì et un anno no, vi pone il Podestà [...]". Così nominato, il podestà doveva esibire la patente davanti ai priori, promettendo di amministrare la giustizia in maniera equa, di osservare le consuetudini e lo statuto, e di consegnare alla Comunità la metà dei danni dati e malefici. I priori, in segno di possesso, gli consegnavano il "libro degli atti", delle inquisizioni, del danno dato, lo statuto e il libro delle stime, che venivano restituiti alla fine del mandato. Il podestà durava in carica sei mesi e alla fine del mandato era sottoposto a sindacato da parte dei "sindacatori" della Comunità.
L'ordinamento interno fin qui descritto si mantenne pressoché inalterato fino alla fine del Settecento, allorquando il sistema venne sconvolto dall'entrata in Italia delle armate napoleoniche. Nel febbraio del 1798, infatti, lo Stato pontificio venne invaso dalle truppe francesi che diedero vita alla Repubblica romana (15 febbraio 1798). In base alla legge del 22 marzo 1798, modificata parzialmente da una successiva legge del 10 maggio, il territorio della Repubblica venne articolato in otto dipartimenti (Tevere, Circeo, Cimino, Clitunno, Trasimeno, Metauro, Musone e Tronto), divisi a loro volta in cantoni, e questi in comuni. Alviano rientrava nel Dipartimento del Cimino. I centri con oltre 10.000 abitanti costituivano un cantone a sé, retto dalla magistratura collegiale degli edili, mentre i cantoni composti da un insieme di piccoli comuni avevano un'amministrazione più complessa, poiché a capo di ogni comune vi era un edile, coadiuvato da un aggiunto, e l'insieme degli edili costituiva l'amministrazione cantonale. L'esperienza repubblicana si concluse il 29 settembre del 1799, con la ritirata dei francesi dai territori pontifici, che furono occupati dalle armate austriache e napoletane.
Nel maggio del 1800 i territori di Lazio, Umbria e Marche vennero recuperati da papa Pio VII. Con l'editto del segretario di Stato Consalvi del 25 giugno 1800, il territorio dello Stato della Chiesa venne riorganizzato mediante l'istituzione di sette delegazioni apostoliche (Viterbo, Spoleto, Perugia, Camerino, Macerata, Ancona e Urbino) con a capo un delegato, che aveva sede nel capoluogo della delegazione, e che aveva, oltre ad attribuzioni di natura giudiziaria, anche il compito di sovrintendere al governo politico della provincia cui era preposto e di fare da tramite tra le realtà locali, dove vennero mantenuti gli ordinamenti comunali di antico regime e si ebbe il ripristino dei feudi soppressi dalla Repubblica, ed il governo centrale.
Nel giugno del 1809, lo Stato della Chiesa venne nuovamente occupato dalle armate napoleoniche e annesso all'Impero, con conseguente introduzione del sistema amministrativo francese. Con decreto del 2 agosto 1809, gli Stati romani, nome con cui furono chiamati i territori dell'ex Stato pontificio, vennero, infatti, articolati nei due dipartimenti del Tevere (o di Roma) e del Trasimeno, con a capo un prefetto, ulteriormente suddivisi in circondari, cantoni e comuni. Ogni comune era amministrato da un maire (sindaco), affiancato da un consiglio municipale cui spettava il compito di compilare le tabelle preventive e i conti consuntivi, che dovevano successivamente essere presentati al prefetto del dipartimento per l'approvazione. Il Comune di Alviano venne inserito nel Dipartimento del Trasimeno.
Nel luglio del 1815, dopo la definitiva caduta di Napoleone, si assistette alla restaurazione dello Stato pontificio. Pio VII, con il motu proprio del 6 luglio 1816, dettò la nuova organizzazione amministrativa delle terre della Chiesa, in base alla quale lo Stato fu ripartito in 17 delegazioni, distribuite per importanza in tre classi, e rette da un delegato di nomina pontificia, coadiuvato da due assessori, nominati anch'essi dal papa, con funzioni giudiziarie, uno in materia civile e l'altro in materia penale. Le delegazioni si suddividevano, a loro volta, in governi con a capo un governatore di nomina papale. Per quanto riguarda i comuni, venne revocata la validità della legislazione statutaria, e si dettarono precise norme circa il loro ordinamento. L'organo deliberativo del Comune era il consiglio, composto da un numero variabile di consiglieri, inizialmente di nomina governativa, cui spettava la nomina e la conferma degli impiegati comunali. La magistratura del Comune era, invece, costituita da un gonfaloniere (sindaco), affiancato da un numero variabile di anziani (assessori). Nelle comunità in cui non risiedeva un governatore, veniva nominato un vicegovernatore da lui dipendente.
Con l'emanazione da parte di Leone XII del motu proprio del 5 ottobre 1824, le delegazioni vennero portate da 17 a 13; a livello locale, invece, si stabilì che il consiglio comunale dovesse essere composto per metà dal ceto nobile e per metà dai cittadini, e la carica di consigliere fu dichiarata ereditaria. Dall'analisi della scarsa documentazione presente per questo periodo, si ricava che Alviano faceva parte della delegazione di Spoleto e Rieti e del governo di Amelia.
Conseguentemente al motu proprio del 1827, in base al quale il titolo di gonfaloniere spettava soltanto al magistrato dei comuni maggiori ("città"), ad Alviano venne preposto un priore. Il gonfaloniere veniva nominato, su terne proposte dal consiglio, dal segretario di Stato, mentre il priore veniva nominato dal capo della delegazione.
Con il motu proprio del 5 luglio 1831, intitolato "Ordinamento amministrativo delle province e de' consigli comunitativi", si ebbe la creazione delle amministrazioni provinciali con a capo un consiglio, il consiglio provinciale presieduto dal delegato. Dal punto di vista delle circoscrizioni, delegazione e provincia coincidevano perfettamente. Le province cui erano preposti cardinali legati ricevettero la denominazione e il rango di legazioni. L'editto del 1831 trasferì alle autorità provinciali tutte le funzioni in materia di vigilanza sui bilanci e sulla gestione delle amministrazioni comunali che fino a quel momento erano state appannaggio esclusivo della Congregazione del Buon Governo.
Nel 1833 venne pubblicato un nuovo riparto territoriale, in base al quale l'Umbria risultava suddivisa nelle tre delegazioni, o province, di Perugia, Spoleto e Orvieto. I comuni erano divisi in cinque classi, in base alla popolazione, e il capo della magistratura continuò a chiamarsi gonfaloniere o priore.
Un nuovo provvedimento sull'organizzazione della pubblica amministrazione venne emanato da Pio IX il 22 novembre del 1850. Tale editto ampliò le competenze del consiglio comunale, il cui dovere fondamentale era quello di deliberare sugli interessi del comune, quali l'elezione dei magistrati e dei consiglieri, nomina degli impiegati, ecc. Il gonfaloniere convocava e presiedeva il consiglio, doveva farne eseguire le deliberazioni, erogava contributi, stipulava i contratti, compilava il preventivo e il consuntivo, formava le liste degli elettori per la nomina dei consiglieri, rappresentava il comune in giudizio e nella corrispondenza d'ufficio, sovrintendeva alla polizia urbana e rurale, svolgeva funzione di giudice nelle cause per danni dati e piccoli crediti. Tale assetto amministrativo non subì mutamenti sostanziali negli anni seguenti. Nel 1860 Alviano entrò a far parte del Regno d'Italia.
Redazione e revisione:
Cardinali Cinzia, 01/01/2004, ordinamento e inventariazione / Cinti Marika, 01/03/2004, ordinamento e inventariazione