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Comune preunitario di Campello, Campello sul Clitunno (Perugia),1508 - 1860

  • Ente
  • Estremi cronologici: 1508 - 1860
  • Intestazioni:
    Comune preunitario di Campello, Campello sul Clitunno (Perugia),1508 - 1860
  • Altre denominazioni: Comune preunitario di Campello
  • "Il Castello di Campello è sito a 510 metri di altezza su un colle ameno ed ha un perimetro di circa 500 metri" 1).
    Secondo la tradizione venne fondato verso la metà del X secolo da Rovero di Champeaux, da cui sarebbe derivata la famiglia dei conti Campello, signori del Castello stesso(2). L'imperatore Federico II nel 1241 ne riconobbe a Spoleto il possesso(3).
    Da questo momento numerosi furono i tentativi dei conti Campello per rendere il loro Castello autonomo da Spoleto, ma tutti fallirono; le cronache ricordano l'insurrezione del 1341 come uno dei momenti più cruenti della storia campellina. Infatti i conti Campello si rifiutarono di consegnare al gonfaloniere perpetuo di Spoleto, Pietro Pianciani, il Castrum; questi lo attaccò e "gli abitanti dovettero cedere al vigoroso imprevisto assalto, ed il Castello cadde in potere di feroci assalitori, che dopo aver fatto strage degli abitanti, lo saccheggiarono completamente, ne demolirono le torri, il Palazzotto di Paolo [conte Campello], la Chiesa, e su quel cumulo di rovine appiccarono l'incendio"(4).
    I Campellini si salvarono rifugiandosi nei boschi vicini. I danni furono ingenti e solo grazie alle grandi qualità di diplomatico di Paolo, favorito da un comportamento odioso di Pianciani, il Castello tornò sotto l'autorità della sua famiglia; così, il 4 giugno 1347, fu stipulato un contratto nel quale si vietava per i secoli la distruzione della fortificazione e delle sue abitazioni(5).
    Castrum Campelli faceva dunque parte del districtus di Spoleto e, come tutti gli altri castelli ad essa soggetti, aveva un podestà inviato dal Comune e "scelto tra gli abitanti della città che pagavano le collette"(6). È, dunque, a Spoleto che fu richiesta l'autorizzazione per l'edificazione di una struttura che tanto a cuore era ai Campellini: il molino presso le vene del Clitunno. Se infatti Spoleto aveva concesso a Pissignano la possibilità di erigere e di restaurare nel 1441 un molino, i Campellini, nonostante le richieste più e più volte avanzate, non avevano avuto tale autorizzazione, affermando il comune di Spoleto che essi avrebbero dovuto servirsi, per il loro grano e le loro olive, del molino di Pissignano.
    "I campellini avevano un antico rammarico non ancora sopito, per il tirannico impedimento posto dal comune della città alla costruzione dei molini ch'essi volevano fabbricare non discosto dalle sorgenti del Clitunno"(7).
    Quando, dunque, nel 1522 Spoleto chiese ai castelli soggetti, di fornire uomini per una guerra che doveva condurre in Toscana, "il malumore dei campellini giunse a tal punto, che con vivo trasporto si unirono alla spedizione sollevata contro Spoleto da moltissimi paesi soggetti e stanchi del suo dominio"(8).
    Norcia in primis si era rifiutata di prestare aiuto a Spoleto per una guerra fuori dalla propria patria e ad essa si unirono ben 22 comunità; Spoleto, per domare la ribellione, inviò Orsini Dell'Anguillara che, con 7000 uomini, si accampò presso le fonti del Clitunno per assaltare sia Pissignano che Campello. Gli abitanti dei due castelli si arresero prima di subire una probabile distruzione(9).
    In questo periodo a Campello venivano applicate le leggi che vigevano a Spoleto, in parte mediate e modificate dalle consuetudini e dall'esempio dei castelli vicini, quali Pissignano, Acera e Spina, che possedevano già un proprio statuto(10). Il conte Cintio Campello, che nel 1569 reggeva il Castrum, sentì forte l'esigenza di fornire anche alla propria comunità una normativa unitaria ed omogenea e non un elenco di disposizioni prive di un disegno logico coerente(11). Lo statuto fu così redatto ma, purtroppo, non ne possediamo che la testimonianza bibliografica di alcuni autori(12).
    "Fino alla fine del XVI secolo la Comunità di Campello non ebbe uno statuto chiaro e completo, che ne regolasse la vita civile nelle sua varie manifestazioni. Si era andati innanzi con una sommaria raccolta di ordinanze, di disposizioni, di bandi emanati secondo circostanze, volta per volta, senza un nesso logico, né unità di concetto, mentre i castelli di Acera e di Pissignano avevano già uno statuto regolare e dettagliato. Si imponeva, pertanto, anche per Campello la compilazione di un regolamento, che desse una norma sicura e precisa per la retta e tranquilla convivenza degli abitanti"(13).
    Su consiglio del conte Cintio si scelsero persone "di senno e capacità"(14) perché compilassero lo statuto ed il 27 febbraio 1569 il corpus iuris vide la luce. Venne poi approvato dai priori di Spoleto nel 1570.
    Purtroppo le fonti bibliografiche sullo statuto non ne descrivono in dettaglio il contenuto e, pertanto, non consentono di sapere quali furono le magistrature in esso previste e quali fossero le regole fissate per il funzionamento delle attività che si svolgevano nella Comunità. Sappiamo solo che nello statuto si stabilivano dure pene contro i bestemmiatori, contro i trasgressori del riposo festivo, contro i danneggiatori dei boschi e delle fonti, severamente protette. Possiamo, comunque, presumere che, in analogia agli statuti dei castra limitrofi, anche quello di Campello fosse diviso in cinque libri: uno relativo agli ufficiali che dovevano reggere il Castrum; gli altri alle cause civili, ai maleficia, alle normative straordinarie, ai danni dati(15).
    "La materia civile è il minimo comun denominatore di tutte le statuizioni di epoca medioevale e moderna fino all'età delle codificazioni; è la parte che tratta delle persone, della famiglia, della proprietà e dei modi di acquistare e trasmettere quest'ultima. Al "bancho" della giustizia ciivile sedeva il podestà con la sua curia di giudici e notai, ma nei castelli del contado questi era spesso sostituito dal vicario, notarius et iudex ordinarius, assistito dal baiolo o nunzio del comune incaricato, in seguito a denuncia, di citare il presunto reo personaliter". "Nella categoria dei maleficia - espressione derivata da male facere - erano compresi non solo i delitti contro la persona, ma anche le azioni dirette a turbare l'ordine economico e la stabilità politica e sociale della città. I reati meno gravi erano invece disciplinati nell'ambito del diritto civile, così come le infrazioni in materia di igiene, sanità e sicurezza pubblica". "Nel linguaggio degli statuti danno dato significa il danno procurato da persone o da animali ed è per lo più rivolto verso le cose e i prodotti della terra"(16).
    L'esame delle fonti primarie e secondarie ci permette, comunque, di affermare che Castrum Campelli, posto all'interno del territorio dello Stato pontificio, rispecchiasse e rispettasse innanzitutto l'organizzazione e l'impianto normativo dato dai pontefici romani alla struttura periferica del proprio Stato. La storia istituzionale locale va quindi inquadrata all'interno delle pratiche di governo e dell'ordinamento amministrativo stabiliti a livello centrale. Occorre rifarsi, innanzitutto, al ruolo ed all'attività della Sacra Consulta e della Congregazione del buon governo ed alla costituzione Pro commissa, emanata da Clemente VIII il 15 agosto 1592 che, con i suoi 31 articoli, dettò le norme che regolavano il governo delle comunità(17).
    "È questa la carta fondamentale dell'amministrazione locale pontificia per due secoli e mezzo: ancora nell'Ottocento, difatti, la Pro commissa (o, come era più comunemente chiamata, la bolla De Bono Regimine) doveva essere letta nei Consigli comunali almeno due volte all'anno e nessun Amministratore poteva entrare in carica se non dopo averne giurato l'osservanza"(18).
    Confrontando le regole stabilite dall'amministrazione centrale pontificia per il governo periferico con la documentazione conservata nell'archivio preunitario di Campello, emerge con chiarezza che presso la Comunità era in funzione il Consiglio generale o Arenga generale che "rappresentava tutto il corpo dell'università e doveva essere convocata per capita domorum"(19); essa era composta dagli uomini illustri della Comunità(20). A capo del Castrum era il vicario, che veniva eletto ogni tre mesi ed era coadiuvato dai massari, successivamente detti priori. Era previsto anche un podestà, preposto all'amministrazione della giustizia, nominato dalla città dominante, nel caso di Campello, Spoleto(21). Fra gli impiegati della Comunità, figura di spicco era quella del segretario che spesso aveva anche l'incarico di cancelliere, una sorta di notaio interno "all'ente". Compiti legati alla gestione delle finanze assolveva, invece, il camerlengo che "doveva esigere i crediti alle scadenze, procedendo manu regia, verso i debitori morosi, e tenere un libro a partita doppia dei debiti e crediti e relative riscossioni"(22).
    Tutti coloro che ricoprivano cariche in cui era prevista la gestione del denaro erano sottoposti al controllo dei sindacatori che dovevano "accertare la retta amministrazione in genere e l'assenza in essa di azioni, omissioni o ritardi da cui fosse derivato un danno alla Comunità"(23).
    Nel 1605 e, successivamente, nel 1607 il pontefice Paolo V precisò i compiti della Congregazione del buon governo assegnandogli anche la funzione di "esaminare tutte le cause - civili, penali e miste - di cui fossero attrici o convenute le comunità dello Stato Pontificio?[e quelle] relative a corrisposte o proventi (eccettuate le pene dei malefici) concernenti in qualunque forma l'interesse della Comunità, e così pure sulle cause relative a rendimento o saldo di conti per ragioni di amministrazione, di annona, di denaro o di beni"(24).
    Compito istituzionale precipuo della Congregazione rimaneva, comunque, quello "della revisione dei bilanci comunali preventivi e consuntivi"(25), che venivano ad essa presentati mediante la compilazione di tabelle. Queste venivano redatte dai magistrati della Comunità, coadiuvati da un deputato del clero regolare e uno del clero secolare con l'assistenza del segretario della Comunità; erano riviste dal governatore locale ed, infine, inviate alla Congregazione per l'approvazione(26). Le tabelle di Campello si conservano a partire dal XIX secolo, quando venivano approvate alla presenza del priore, degli aggiunti del priore, del deputato ecclesiastico e del segretario comunitativo(27).
    Notizie sulle attività svolte all'interno del Castrum e sulle regole che in esso vigevano sono desumibili anche dai capitula, che consentono di conoscere sia le modalità con le quali il Consiglio generale affidava ad esterni servizi e uffici - di cui aveva il monopolio ma che preferiva non gestire in proprio, appaltandoli in cambio di un canone annuo - sia gli obblighi che pesavano sull'"appaltatore"(28). Quest'ultimo, "nell'atto della sua offerta" doveva "dare buona ed idonea sigurtà" o, in caso contrario "depositare qualche somma di denaro ad arbitrio delli signori priori esercenti per evitare ogni collusione", ma era comunque diritto dei detti priori "riaccendere la candela ad ogni risico e discapito di detto oblatore". "Ogni proventiere, appaltatore ed affittuario sia obligato pagare la risposta del suo provento, appalto ed affitto in mano del camerlengo" ogni trimestre(29).
    I capitoli raccoglievano delle regole ferree alle quali dovevano sottostare sia gli affittuari, appaltatori e "proventieri", che gli abitanti del Castello; per chiunque contravvenisse a queste regole, erano previste delle pene pecuniarie, diverse a seconda delle tipologie di servizio. "Che tutte le pene descritte nelli presenti capitoli e riformanze, se resterà affittato il provento, appalto ed affitto, debbano dividersi per due parti à favore dell'affittuario, ed appaltatore; e la terza parte à favore del segretario, e cancelliere communitativo; e non restando affittato il provento, ed affitto, vadano per due parti à favore della Comunità, e priori esercenti; e la terza parte al detto segretario, e cancelliere"(30).
    La ratifica dell'assegnazione del "provento, appalto, ed affitto" doveva essere compiuta attraverso "il pubblico istrumento dal nostro segretario a spese delli proventieri, e affittuari" entro due mesi dall'accensione della candela(31).
    Il fatto che fossero previste delle pene pecuniarie per coloro che compivano degli atti illeciti nell'esercizio delle loro funzioni era, ovviamente, motivato dalla necessità sia di controllare che i servizi stessi fossero gestiti in modo idoneo affinché la popolazione non vivesse situazioni di disagio, sia di garantire la sopravvivenza della Comunità. Basti pensare, ad esempio, ai numerosi divieti di esportare beni prodotti all'interno del Castello, giustificati dalla paura che non vi fossero derrate o generi sufficienti ai bisogni della Comunità stessa e dei suoi abitanti; le pene severe impedivano la vendita ai forestieri di prodotti quali la legna, il carbone, lo sterco, necessari alla popolazione locale per la propria sussistenza.
    I capitoli contenuti nel registro conservato nell'archivio erano relativi alle seguenti materie: danni dati, erbatico, foglia, osterie e stallatico, forno, pizzicaria, macelli, "cammerlengato", "quadrino della foglietta", "tesi da uccellare", cenciaria, statera per le fiere della Bianca, abbondanzieri e ministri del Monte frumentario, "oblighi del balivo", "circa li forestieri abitanti in questo Castello e suo territorio", "circa la festa di S. Sebastiano", "del signore medico", "concernenti il comprare e il vendere l'oliva", corriere(32). Si tratta della maggior parte delle attività che si svolgevano all'interno della Comunità: analizzandole in dettaglio, si può ricostruire la vita politica, sociale ed economica di Castrum Campelli tra il XVIII e il XIX secolo.
    Gli appaltatori dell'ufficio dei danni dati (cc. 4-13) erano coloro che avevano il compito di controllare i danni procurati "agl'orti apparati, e coltivati, ad erbaglie e frutti di qualunque sorte", ai campi coltivati a legumi e "zucche, meloni, cedroni, cipolle, agli ed altro ortaglie", ai campi di "grano e biade" fossero danni procurati da persone o bestie. "Il colono, ed affittuario (poteva) accusare chi gli farrà danno, con un testimonio degno di fede" e l'ufficiale del danno dato, imponeva al trasgressore la multa stabilita(33).
    L'ufficiale dell'erbatico (cc. 14-18) doveva vigilare sul numero delle bestie "vaccine, porcine e pecorine", attraverso il controllo delle "assegne" e sul rapporto tra numero delle bestie (castrati, agnelli, pecore) e quantità di terre possedute. Aveva, quindi, il controllo del territorio della Comunità e stabiliva, in base alle regole dettate dai capitoli stessi, quali terreni potessero essere utilizzati per il pascolo, da cui erano, ad esempio, esclusi "piantoni, pergole e seminati".
    Simile era il compito dell'ufficiale della foglia (cc. 19-22), che controllava il pascolo delle capre affinché esse non si spingessero oltre i confini loro assegnati, ossia in luoghi vietati quali "sotto la strada vocabolo La Valle, ma sopra la strada gli sia lecito conversare per tutto alla riserva però nelle pergole, e piantoni delle terre lavorative e coltivate". Doveva, inoltre, vigilare affinché le capre si abbeverassero solo nelle fonti preposte e che i caprari non vendessero "lo stabbio alli forestieri" giacché "esperimentandosi la gran scarsezza dello stabbio in questo luogo per la necessità, che vi è per stabbiarsi annualmente li piantoni, e canapine e orti, oltre gl'altri seminati, non sarà lecito a veruno di questo luogo di portare lo stabbio di qualunque specie fuori di questo territorio".
    Queste, invece, le regole per i conduttori delle osterie (cc. 23-24): "Li conduttori, ed osti che affittavanno l'osteria dentro il nostro Castello" erano "obligati continuamente ed in ogni tempo tener vino boni, e recipienti, e queli vendere in modo tale, che non possano guadambiare più di bajocchi trenta per soma". Dovevano, inoltre, "tenere lo stallatico e per sua mercede detti osti, e depositarij possano far pagare per detto stallatico somme diverse a seconda del tipo di animale accolto e del tempo"(34). Essi erano, dunque, tenuti a rispettare le misure "giuste e sigillate con il sigillo della nostra comunità, ma sole tre misure, cioè un mezzo, una foglietta, e mezza foglietta". La vendita al minuto del vino era consentita solo all'interno dei "proprij beni", quando cioè era il risultato del raccolto di proprie uve.
    L'affittuario del forno del pane venale (cc. 25-26) teneva aperti due forni, uno all'interno del Castello e uno "nella villa della Bianca"; il pane doveva essere sfornato "ben cotto, e bene condizzionato" altrimenti si incorreva in una multa alla quale si aggiungeva la "perdita del pane da distribuirsi alli poveri". L'appaltatore era soggetto a controlli a sorpresa da parte delle autorità: "Il vicario, e priori assieme con il segretario, e balivo...possano andare al suddetto forno...ogni volta che gli piacerà a rivedere se il pane sia di giusto peso, e ben condizionato secondo l'obbligo degli appaltatori" sotto pena del pagamento di una multa. Tale era l'importanza della vendita del pane venale che, "non sia lecito a veruna persona di vendere il pane venale dentro il nostro territorio?quando non sarà affittato il forno, se prima non si sarà fatto scrivere in palazzo". L'affittuario della pizzicaria (cc. 27-29) era "obligato ritenere nella pizzicaria per lo spaccio pubblico alica, tonnina, sardelle, merluzzo, formaggio tosto, salumi, presciutti, lardo, oglio; e la quadragesima arenghe, e saracche....salumi e salati, concludendoci le salciccie e salcicciotti, sanguinacci, assogne e cervellate".
    Era sottoposto a multa l'affittuario che non avesse, nel proprio spaccio, tali alimenti così come multabili erano i privati che avessero venduto questi ed altri alimenti in casa propria, a meno che non fossero "robba propria e raccolta nelli proprij beni". Il prezzo degli alimenti venduti doveva essere esposto "in una tavolozza a vista" e "il pizzicarolo sia obligato tenere le pese e bilancie giuste".
    Gli affittuari dei macelli (cc. 30-35), "non possino macellare altre carni, se non che di castrato, capra, e vaccina à suoi debiti tempi, e che quelle siano di buona qualità, e le medesime rispettivamente vendere secondo la tariffa" imposta dal vicario né gli era lecito macellare capretti, agnelli e maiali al fine di non "pregiudicare l'appalto della pizzicaria". Non sappiamo quanti fossero i macelli nel territorio comunale, ma sappiamo che erano previste delle norme molto rigide sulla macellazione, cioè sulla modalità in cui doveva effettuarsi e sulle bestie da macellare. Il commercio e la qualità della carne e, in genere, degli alimenti venduti e consumati appaiono, quindi, rigidamente regolamentati e controllati dall'autorità pubblica.
    La lettura dei capitoli relativi agli esattori delle imposte (cc. 36-37) desta un particolare interesse giacché consente di desumere le funzioni e le competenze dei camerlenghi, coloro che introducevano i libri delle collette e che figuravano quali intestatari dei relativi registri. Le funzioni sono definite con dovizia di particolari: erano i priori a "consegnare al camerlengo, ed esattore un estratto di tutti i dazzj, e collette, che dovrà esigere dalla Comunità di anno in anno; e sia tenuto detto camerlengo di esigere tutti li dazzj imposti, e da imporsi, e render conto alla medesima Comunità in fine d'ogni anno dell'esatto, e non esatto; e fare le paghe secondo, che accaderanno; altrimenti sia tenuta à tutti li danni, e spese".
    Era poi obbligo del camerlengo eseguire la "mano regia" nei confronti dei debitori, ma solo dopo che il baiulo l'avesse bandita.
    Gli affittuari del "quadrino della foglietta" (cc. 38-39) erano coloro che avevano l'obbligo di controllare la vendita del vino sulla strada romana.
    Chi affittava i "tesi da uccellare" (c. 40) aveva, invece, il diritto di "tendere le reti da tordi, ò da fringuelli" nei luoghi atti alla caccia, nella fattispecie "lo scoppio Raniere" ed il "monte Carvello", luoghi in cui tuttavia era lecito il "passo delle capre" e vietato "tagliare la legna", attività che avrebbe prodotto un danno all'affittuario in questione.
    L'appaltatore della cenceria (c. 42) doveva "tener bottega aperta nella Villa della Bianca" per la vendita degli stracci che altrimenti non potevano essere acquistati dagli abitanti della Comunità, mentre era compito di chi otteneva "l'affitto della statera per le fiere della Bianca...riscontrare e bollare le bilancie, e statere delli foresteri...perché fossero regolari alla stregua di quelle dei locali ed, eventualmente, affittare proprie o multare i contravventori" (c. 43).
    Seguitando nel registro troviamo i capitoli per gli abbondanzieri e ministri del Monte frumentario: questi ultimi (c. 69) avevano l'obbligo di sottostare alle regole imposte dal Consiglio generale della Comunità per l'attribuzione del grano e, alla fine di ogni anno, dovevano "rendere conto giusto e fedele della loro amministrazione, e ognuno di essi sia tenuto, in solidu, ed obbligato per ogni, e qualunque somma a favore del suddetto Monte, ed Abbondanza"; per tale ragione avevano l'obbligo "nelle imprestanze del grano" di farsi dare "idonea sigurtà". Il loro salario consisteva in una coppa di grano annuale.
    Al baiulo o balivo (c. 70) spettava, invece, di portare citazioni o intimazioni agli abitanti del Castello, ricevendo per questo un salario. "Al detto balivo non sia lecito di citare, o intimare per qualunque causa particolare...li signori vicario, e priori, e segretario della detta nostra Comunità, durante il loro ufficio" pena il licenziamento: vigeva dunque per le maggiori magistrature del Castello un'immunità data dalla carica, che aveva inizio e fine con la medesima.
    Per i forestieri che temporaneamente dimoravano nel Castello (c. 71) era fatto obbligo di pagare il così detto "dazio della forestanza", senza alcuna agevolazione neppure se vi dimorava per un periodo limitato dell'anno.
    Tra i salariati della Comunità rientravano anche il corriere ed il medico condotto. Era compito di quest'ultimo (cc. 73-74) "visitare, e medicare tutti quelli infermi di quelle famiglie, che pagano alla comunità di questo Castello il dazio del fuoco, e della forastanza, e fargli almeno una visita al giorno".
    All'occorrenza le visite venivano effettuate sia di giorno che di notte e, gratuitamente, il medico sottoponeva il malato alle "sanguigne"; aveva altresì l'obbligo di essere autorizzato dal vicario e dai massari in caso di "licenza" che, tuttavia, non gli era concessa qualora "vi fusse in questo Castello, o suo territorio qualche infermo aggravato" e, comunque, era costretto ad un immediato rientro se lo stato di salute di qualcuno lo avesse richiesto. Ogni anno il medico della Comunità doveva essere confermato dallo stesso vicario e dai priori già due mesi prima della scadenza del suo incarico. Era questa una pratica non comune agli altri servizi ma che ben si giustificava con la caratteristica di necessità assoluta della presenza di tale figura all'interno della Comunità.
    Il corriere (c. 78), infine, era colui che doveva "andare due volte la settimana a Spoleto à portare, e prendere le lettere alla posta di detta città colla bolzetta che gli verrà consegnata, cioè il lunedì ed il venardì..."; inoltre doveva andare alla "Cancelleria del governo di Spoleto a prendere le lettere di officio, editti, bandi, e altre carte" per portarle a Campello; era coadiuvato da una persona che, nella Villa della Bianca, riceveva e smistava la corrispondenza che, prima di essere trasferita agli uffici, veniva controllata dal segretario quale tenutario della chiave della "bolletta".
    Altre informazioni, soprattutto di carattere economico sulla vita della Comunità di Campello, si possono dedurre, ancora, dalla fonti bibliografiche sullo statuto. Sappiamo, così, che le tasse gravavano esclusivamente sugli abitanti del Castrum, mentre i feudatari ne erano esentati. Nel 1390 la famiglia Campello aveva infatti stipulato con i massari una convenzione in base alla quale questi ultimi riprendevano il possesso del Castello ma i conti ottenevano, in compenso, che la Comunità fosse obbligata a "pagare tutti i pesi imposti, e da imporsi tanto comunitativi quanto camerali"(35) liberando così i Campello dal pagamento di ogni "gabella, colletta o balzello, imposta o da imporsi, sia dalla Comunità che allora si veniva costituendo come pure dal Comune di Spoleto, e dal governo Pontificio"(36).
    Tale onere pesò sugli abitanti del Castrum per quasi due secoli ed ebbe fine soltanto nel 1691, quando Roma revocò il privilegio e "i campellini toltisi di dosso un peso registrato nel proprio statuto, a favore dei Campello, pensarono di liberarsi pure della soggezione che avevano al comune di Spoleto, a cui erano obbligati di far confermare il proprio statuto e presentare il vicario che era capo dei massari della Comunità. La controversia si fece più acerba quando appressandosi il Natale, gli spoletini mandarono a prendere il bue per la caccia che soleva farsi in quella ricorrenza"(37) e i Campellini opposero un solenne rifiuto. Dalla soggezione a Spoleto Campello non riuscì ancora a liberarsi ma, almeno, con il pagamento delle tasse da parte dei nobili Campello, gli introiti erariali aumentarono in modo consistente(38).
    Le entrate della Comunità, derivanti dalle imposte che gravavano sui cittadini, dai proventi degli appalti e dal sopravanzo dell'anno precedente, laddove esistente, si distinguevano in camerali, che andavano alla Reverenda Camera apostolica, cioè allo Stato, e comunitative, ossia a favore del Comune(39); "dal pagamento dei pesi comunitativi erano esclusi gli ecclesiastici e altri privilegiati, mentre gli stessi erano tenuti al pagamento dei pesi camerali"(40).
    Le gabelle camerali non gravavano allo stesso modo su tutte le comunità ma, spesso, solo alcune erano obbligate al pagamento di una certa gabella e non di altre, così come, a volte, alcune comunità ottenevano degli sgravi che non agevolavano altre. "Le gabelle comunitative erano imposte dalle Comunità con l'approvazione del Buon Governo ed erano svariatissime nella forma, nella misura, nella destinazione"(41).
    A Campello troviamo, tra le entrate, i proventi delle collette imposte dall'Arenga generale e riscosse dal camerlengo "sopra li fuochi", sui "forastieri abitanti", "sopra la libra dei terreni delli possidenti...e sopra la metà de Beni patrimoniali" oppure "esatti dalla libbra imposta sopra li terreni tanto de secolari che ecclesiastici e beni patrimoniali per il dazio del bollo estinto"(42), nonché entrate derivanti da dazi imposti per particolari e straordinarie situazioni, quali i numerosi passaggi delle truppe, e dall'affitto dei diversi servizi, dalle pigioni delle botteghe di proprietà del Castrum e gestite dai privati: "la bottega...sotto la piazzetta del Palazzo", "la bottega ad uso di falegname"; dalla vendita di alcuni prodotti di proprietà comunitativa quali i "pinnocchi nella selva" o "il frutto della noce dentro il Castello" o "la legna....per cuocere la fornacchia della calce della fonte benedettana" o "della legna delle piante delli fichi tagliate nelle sorgenti del fiume Clitunno"(43).
    Le uscite si distinguevano in camerali, che erano le imposte gravanti sulla Comunità; straordinarie, consistenti nel passivo dei debiti che pesavano sulla Comunità; comunitative, ossia tutte quelle spese che la Comunità doveva sostenere per l'esperimento delle proprie attività(44). Nello specifico di Campello erano le spese dei salari per il camerlengo, per il quale era anche previsto il rimborso delle spese di viaggio a Spoleto; per il vicario; per i massari; per il segretario della Cancelleria; per il baiulo, cui veniva anche pagata la "pigione della casa della Madonna SS. della Bianca"; per il medico; per il moderatore dell'orologio; per il maestro di scuola; per la gestione dell'archivio(45) nel quale dovevano "conservarsi, sotto chiave, le scritture emanate dalle autorità comunali e quelle notarili"(46).
    Alle spese per lo stipendio delle autorità e dei dipendenti si aggiungevano quelle per le elemosine; per i predicatori durante la quaresima; per la festa del 20 gennaio di S. Sebastiano, quando nella chiesa del santo era organizzata una messa cantata alla quale dovevano partecipare le maggiori autorità cittadine, cioè il vicario, i priori, il segretario, il baiulo, obbligati poi ad offrire elemosine ai sacerdoti per l'acquisto della torcia da dare in regalo al santo(47); per le processioni; per la cera da usare negli "offici" delle feste di S. Antonio da Padova, di S.Sebastiano, di Pasqua e negli offici esperiti nella chiesa della Madonna della Bianca. Comunitative erano anche le spese per i lavori di manutenzione delle strutture del Castello, che troviamo annotate nel registro delle entrate e delle uscite: "due opere di muratore, e due per il manuale per aver fatto lavorare sopra la porta del Castello nelle mura del Castello" (c. 152v-153r) e quindi le spese per il materiale "per mattoni 215 sottili e 25 grandi"; per la perizia e la "fattura della colonna nella bottega sotto il palazzo del riattamento del pavimento di essa, del mattonato sopra il macello, e porre la ferrata nella strada sotto il palazzo, tra muratore e manuale" (c. 154r); "per riattare una parte delle mura castellane sotto il palazzo della Comunità" (c. 205v)(48).
    Spese si sostenevano anche per le guerre: nel 1797 sono annotate uscite "per cento libre di polvere comprata per ordine supremo per l'armamento contro li Francesi" (c. 238v); nel 1799 "per vetture di fieno trasportato a Spoleto per le truppe tedesche per ordine di quella reggenza" (c. 253r); "per fieno dovuto pagare per li bovi, che trasportarono li convogli francesi fino sopra Rieti nel 1801" (c. 264r); spese sostenute per dare buoi a Spoleto e Trevi "per le truppe francesi nel mese di febbraio 1801 per ordine di monsignor Delegato" (c. 267r). Fissa è la spesa sostenuta "per la solita refezzione delli fratelli della Compagnia di Campello e Piedi Campello, e communisti, che intervengono alla processione" (c. 243r) (49).
    Si annoverano, inoltre, spese a tutela e salvaguardia delle acque che, oltre ad essere protette con specifiche norme che vietavano, ad esempio, il pascolo delle greggi e delle capre nelle vicinanze delle fonti, venivano "nettate", ed erano previsti lavori quali "fare un trocco nella fonte delle Cozze" (c. 146v) o "due trocchi nella fonte delle Fontanelle" o "opere tenute a ricondurre l'acqua nella fonte della raccolta" (c. 161r)(50) a garanzia di un bene tanto prezioso. Alcune spese avevano una giustificazione sociale, come nel caso del giugno 1805, quando il vicario e il baiulo furono rimborsati "per il trasporto di Margherita del quondam Pasquale di Campello, pazza...a Trevi per evitare altre spese e sconcerti"(51).
    Entrate ed uscite, non dissimili nelle voci annotate da quelle dei periodi precedenti, si trovano in quella parte del registro compilata durante la Repubblica romana del 1798-1799(52) ed il periodo dell'Impero francese quando, "in nome di Sua Maestà Imperiale e reale Napoleone I il Grande Imperatore dei Francesi, Re d'Italia, e protettore della Confederazione del Reno"(53), dal 1809 al 1814 è il maire del Comune di Campello a revisionare i conti.
    Da numerose fonti bibliografiche sappiamo che a seguito della Rivoluzione francese del 1789 e dei tumultuosi eventi che la accompagnarono, nello Stato pontificio, raggiunto anch'esso dal fervore rivoluzionario, il 15 febbraio 1798 venne proclamata la repubblica. L'instaurazione di un regime giacobino sotto l'egida della Francia rivoluzionaria sconvolse un assetto plurisecolare: il vecchio pontefice Pio VI fu costretto ad abbandonare Roma mentre il potere temporale dei papi fu dichiarato decaduto. Seguì una riorganizzazione amministrativa, con la suddivisione del territorio in otto dipartimenti. Spoleto divenne sede dell'amministrazione centrale del dipartimento del Clitunno, uno dei più estesi di tutta la repubblica, che venne diviso in 17 cantoni, cui successivamente si aggiunsero i quattro cantoni rurali di Spoleto, Terni, Rieti e Foligno, per un totale di 21 cantoni dipartimentali. I comuni di Campello, Spina, Acera, Agliano e Pissignano furono annessi al cantone di Trevi(54).
    La Repubblica romana ebbe, comunque, vita breve e terminò nell'agosto del 1799; a Roma rientrò il Papa e nel territorio dello Stato pontificio, di cui Campello faceva parte, si tornò alle precedenti magistrature(55).
    La successiva esperienza francese risale al 1809 quando, il 17 giugno, l'Umbria fu unita all'impero napoleonico, costituendone il dipartimento unico del Trasimeno con capoluogo Spoleto e Perugia sede di sottoprefettura. In questo periodo, a capo del comune si trovava il maire, coadiuvato nell'attività amministrativa dai consiglieri municipali che, secondo la legislazione francese, dovevano essere eletti dall'assemblea del cantone tra i cento cittadini più tassati del territorio(56).
    Nel maggio 1814, dopo la caduta di Napoleone, i territori umbri furono riconsegnati al pontefice(57) mentre le Marche, Bologna e la Romagna vennero restituiti nel 1815 58). A tali territori Pio VII dette una nuova organizzazione amministrativa con il motu proprio del 6 luglio 1816, entrato in vigore il 1° settembre dello stesso anno, che prevedeva la divisione dello Stato in 17 delegazioni, retaggio dei dipartimenti d'età napoleonica(59). Le delegazioni erano poi suddivise in governi, di I° ordine, detti distrettuali, e di II° ordine; ciascun governo era retto da un governatore, nominato dal papa. Il motu proprio soppresse tutti gli ordinamenti particolari che ancora vigevano nei diversi comuni decretando, quali unici organismi della pubblica amministrazione, il Consiglio, corrispondente all'attuale Consiglio comunale e la Magistratura, corrispondente alla Giunta comunale, composta da un gonfaloniere, l'attuale sindaco, e dagli anziani, gli attuali assessori; il numero degli anziani variava in relazione alla delegazione. Negli appodiati, cioè i comuni minori dipendenti da un comune principale, era previsto un sindaco, sottoposto al gonfaloniere della comunità principale(60).
    Dalle fonti documentarie conservate sappiamo che, a partire dal 1817, Campello era un comune, retto da un vice-governatore, da un gonfaloniere e da un Consiglio(61). Aveva rapporti di dipendenza dalla delegazione di Spoleto e dal governatore di Trevi ma, a sua volta, costituiva riferimento politico-amministrativo per le cosiddette università appodiate, rette dal sindaco.
    "Questa nostra Comune, la quale in seguito del motu proprio di nostro Signore del sei luglio 1816 era stata appodiata alla Città di Spoleto è ora ritornata ne suoi antichi, e più luminosi diritti dopo la pubblicazione dell'editto della Suprema Segreteria di Stato del 26 novembre scaduto. Li castelli di Pissignano, Meggiano, Paterno e Piedi Paterno gli sono stati riuniti. Oltre la Magistratura composta di un gonfaloniere, e due anziani vi sarà pure in questa Comune un vicegovernatore dipendente dal governo di Trevi, le cui attribuzioni sono dettagliate nel citato editto"(62).
    L'organo comunale preposto a deliberare sulle attività cittadine era il Consiglio comunitativo(63). Era prevista una prassi rigorosa per l'elezione dei consiglieri, che venivano "rimpiazzati" in base agli articoli 155 e seguenti del motu proprio del 1816: i consiglieri votanti dovevano indicare all'interno di schede un solo nome; si eleggevano quindi due scrutatori che effettuavano lo spoglio per "conoscere di poi quale persona vi è riunito il maggior numero de voti"(64); quindi il neo eletto doveva prestare giuramento. Data 13 luglio 1818 la notizia che il cardinale segretario di stato nominò all'officio di gonfaloniere della comune di Campello e suoi appodiati il signor Filippo Fratellini(65). Al momento della nomina il vice gonfaloniere effettuava il passaggio delle consegne, affidando al gonfaloniere "la bilancia ed i campioni dei pesi, e misure appartenenti al pubblico, non che il vecchio, e nuovo sigillo della Comune medesima, unitamente al bollo per marcare le misure di ogni specie"(66).
    Il Consiglio comunale di Campello era formato dal gonfaloniere, dal vice gonfaloniere, da due anziani, dai consiglieri, dal segretario.
    Nel 1824 papa Leone XII dettò ancora nuove norme relative all'amministrazione dei comuni: ridusse il numero delle delegazioni a tredici, prevedendo che i Consigli comunali dovessero essere formati metà da nobili e metà da cittadini e che lo status di consigliere divenisse ereditario.
    Nel 1827 lo stesso pontefice, emanando il Motu Proprio del Regnante Sommo Pontefice Papa Leone Duodecimo del ventuno Dicembre Mille Ottocento Ventisette, entrato in vigore il 1° gennaio 1828, confermò le tredici delegazioni, soppresse la Congregazione governativa, riservò la carica di gonfaloniere "al capo della magistratura nei comuni aventi titolo di città, mentre agli altri veniva preposto un priore" (67); stabilì il numero dei consiglieri per ciascun comune, proporzionandolo al numero degli abitanti, e previde, per gli appodiati, accanto alla figura del sindaco, anche quella di tre consiglieri(68). Campello era una delle cinque comunità del Governatorato di Spoleto aventi il podestà(69). Il suo Consiglio, nel 1829, in osservanza a tali norme, risulta così costituito dal priore, da due aggiunti, dai consiglieri e dal segretario. Come in passato, è sempre presente un deputato ecclesiastico(70).
    Nel 1828 a seguito del motu proprio dell'anno precedente fu fatto un nuovo riparto territoriale(71): a questa data le università appodiate alla Comune di Campello risultano essere Agliano e Acera, Pissignano e Spina(72). Ciascuna di esse aveva, in seno al Consiglio comunale una rappresentanza che, in base a quanto deciso dal governatore di Trevi, poté, il 15 febbraio 1828, partecipare all'elezione del priore e degli aggiunti di Campello: "[il governatore] è stato pregato a dichiarare se dovevano congedarsi i signori consiglieri delle università appodiate, o se erano in diritto di dare il loro voto per il divisato oggetto giusta il disposto dell'articolo 166 del riferito motu proprio. Il medesimo ha opinato che potendo ritenersi la scelta, di cui si tratta, di un interesse comune, dovessero farsi rimanere nell'adunanza anche i consiglieri delle università appodiate per darvi i loro suffragi, tanto più che era riempita la legge espressa nel suddetto articolo 166, con cui si ordina, che quando si tratti di affari particolari, o comuni con la Comunità principale debbono intervenire alla sessione consiliare il sindaco, ed un consiliere a vicenda, non trovandosi di fatti presenti che due soggetti per Agliano con Acera, due per Pissignano ed uno per Spina." "Ai sensi dell'art. 178 del citato motu proprio, debbono formarsi da questo generale Consiglio le terne per la rappresentanza di priore, ed aggiunti. Gli individui che possono [...] sono i soli consiglieri della Comune principale eletti dall'eminentissimo prefetto della Sagra consulta e descritti nello elenco che viene egualmente letto"(73).
    Il Consiglio comunale di Campello, nella seduta del 9 marzo 1828, decretò che, in base alla dichiarazione della Suprema segreteria di Stato n. 38594 del 14 febbraio, i due consiglieri ed il sindaco delle università appodiate avevano il diritto di intervenire alla "formazione delle terne dei magistrati e dei consiglieri non meno che alla scelta, o riferma degli impiegati, all'onorario de quali contribuiscono gli appodiati"(74).
    All'interno di una "schedula" ogni membro del Consiglio aveva diritto di inserire il nome di tre consiglieri, quindi si effettuava lo spoglio ed i consiglieri che avevano ottenuto il maggior numero di voti andavano a formare la terna per la scelta del priore. Con la stessa metodologia si formavano le due terne per gli aggiunti. A questo punto si procedeva ad un'ulteriore votazione dalla quale si ottenevano i nomi del priore e dei due aggiunti che avevano ottenuto il maggior numero di voti ciascuno nella terna di appartenenza.
    "In conformità all'articolo settimo del Regolamento della Suprema segreteria di stato annesso al motu proprio del ventuno dicembre mille ottocento ventisette", era necessario formare il "bussolo degli arringatori composto di un numero non minore della metà dei Consiglieri, che dev'essere approvato dall'apostolica Delegazione, e dal quale debbono estrarsi in ogni consiliare adunanza due arringatori per la futura sessione"(75).
    Molteplici erano i compiti cui il Consiglio comunale assolveva: approvava le tabelle preventive e quindi il bilancio del Comune e dei suoi appodiati; eleggeva i consiglieri, nominava ed eventualmente riconfermava nel loro incarico gli esattori di Campello e degli appodiati, gli abbondanzieri del Monte frumentario, i sindacatori, i revisori dei conti, i ripartitori delle tasse, il maestro per gli scolari, il medico, i santesi ed il cappellano della cappella della Madonna della Bianca, i deputati delle strade ed i deputati delle selve; nominava e riconfermava gli impiegati del Comune; proponeva il nome del candidato per l'elezione del consigliere provinciale per il distretto di Spoleto; determinava quali tasse imporre e deliberava sugli affitti e sugli appalti; approvava i progetti per i lavori pubblici (strade, edifici, etc.); approvava i regolamenti (per la conservazione delle pubbliche selve, per la panificazione, etc.); determinava, attraverso tabelle, le tariffe dei dazi: riparto sopra il personale ossia focatico, sul bestiame (distinto per specie), sulla vendita del vino, sul censo rurale, sulle selve, sui generi di pizzicheria, salumi, carni salate(76).
    "Con lo stesso motu proprio del 21 dicembre 1827, ai vice-governatori furono sostituiti, con compiti analoghi, i podestà"(77), poi soppressi nel 1831 a seguito dell'editto del pro-segretario di stato, cardinale Bernetti, che dettò nuove norme rimaste in vigore fino al 1849.
    L'esperienza della Repubblica romana (9 febbraio-1 luglio 1849) con il triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi, interessò anche Campello, come si desume dalla lettura del carteggio amministrativo relativo al suddetto periodo, dal quale risulta che le lettere in arrivo erano indirizzate al cittadino priore. In questo arco di tempo l'attività del Consiglio comunale fu interrotta: nei registri delle deliberazioni, infatti, dalla seduta del 27 dicembre 1848 si passa a quella del 26 agosto 1849 e le due verbalizzazioni compaiono nella stessa pagina, segno della continuità dell'attività del Consiglio dopo la parentesi francese.
    Con la caduta della Repubblica romana venne ristabilito il governo pontificio, che operò localmente attraverso la Commissione municipale, costituita da un presidente e due consiglieri e già presente all'inizio del mese di agosto 1849: da questa data, infatti, la corrispondenza del Comune veniva inviata proprio al presidente della Commissione. Tale mutamento amministrativo interessò anche le comunità appodiate. La Commissione municipale ebbe, però, vita breve giacché, a partire dal gennaio 1852, le lettere sono di nuovo intestate al priore.
    Con l'annessione dell'Umbria al Regno d'Italia, nel novembre 1860, termina la documentazione archivistica preunitariaria e la ricostruzione di questo profilo storico-amministrativo del territorio in questione e delle sue magistrature. Va soltanto precisato che l'attuale denominazione di Campello sul Clitunno fu assunta nel 1863: fino a questa data il Comune si chiamava soltanto Campello.

    1. B. FABRIZI, Il Castello di Campello sul Clitunno (memorie storiche), Spoleto, Un. Tip. Nazzarena Fasano & Neri, 1934, p. 10.
    2. "Nobile famiglia spoletina, signora del castello di Campello, con case pure a Foligno. Si vuole che il cognome derivi da Piccolo Campo, quindi con evidente origine montagnola; altri li vuole originari di Reims. Rovero di Champeaux, donde Campilio, Campelli e infine Campello, sarebbe venuto in Italia al seguito di Guido da Spoleto e da lui avrebbe avuto il feudo, dove edificò la sua fortezza, della quale fu investito da Lamberto nel 921. I Campello furono conti del castello omonimo e signori della Rocca della Spina e della Torre di Lanfranco (Minervio)". M. TABARRINI, L'Umbria si racconta. Dizionario. A - D, Foligno, 1982, p. 234.
    Della famiglia Campello si conserva un archivio, con carte dal 1522 al 1960 e pergamene dal 1319, presso la Sezione di Archivio di Stato di Spoleto. Cfr. Guida generale degli Archivi di Stato, op. cit., p. 542.
    3. L. FAUSTI, I castelli e le ville dell'antico contado e distretto della città di Spoleto, Perugia, Editoriale Umbra, 1990, vol. I, pp. 46-47.
    4. B. FABRIZI, op. cit., pp. 12-13.
    5. Ibid., pp. 13-14.
    6. L. FAUSTI, op. cit., vol. I, p. 54.
    7. P. CAMPELLO DELLA SPINA, Il Castello di Campello. Memorie storiche e biografiche, Roma, Loescher & C., 1889, pp. 222-223.
    8. B. FABRIZI, op. cit., p. 24.
    9. M. TABARRINI, op. cit., p. 237 e Il Clitunno e la sua gente. Dalle origini al 1946, manoscritto di Domenico Gasparri conservato presso l'autore.
    10.Tra gli statuti delle comunità vicine a Campello, il più antico risulta essere quello di Spina del 1462; Acera lo redasse, invece, all'inizio del XVI secolo, Pissignano nel 1543, Agliano alla fine del XVI secolo.
    11. Gli statuti "oltre a fissare gli ordinamenti politici ed amministrativi, recavano norme in materia di diritto penale e civile". G. GIUBBINI, L. LONDEI, La visita di Mons. Innocenzo Malvasia alle comunità dell'Umbria (1587) Perugia, Todi, Assisi, Perugia, Volumnia Editrice, 1994, p. 14.
    12. L'archivio storico comunale di Campello è stato oggetto di numerosi furti tra cui quello dello statuto, data la sua veste grafica particolarmente pregiata. A tal proposito si veda anche quanto è stato scritto nella premessa all'inventario e nell'introduzione alle serie archivistiche Statuti.
    13. B. FABRIZI, op. cit., p. 35.
    14. Ibid.
    15. Sugli statuti del territorio spoletino si veda anche: P. BIANCIARDI, M. G. NICO OTTAVIANI, Il territorio di Spoleto e la sua normativa statutaria (secoli XIII-XVI), in Gli statuti comunali umbri. Atti del Convegno di studi svoltosi in occasione del VII centenario della promulgazione dello Statuto comunale di Spoleto (1296-1996), Spoleto, 8-9 novembre 1996, a cura di E. MENESTÒ, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, 1997, pp. 307-335.
    16. Item ordinamus? Statuti e società nel territorio di Spoleto (secoli XIII-XVI). Catalogo della mostra documentaria, Sezione di Archivio di Stato di Spoleto 9 novembre 1996-31 gennaio 1997, Spoleto, Tipolitografia "Nuova Eliografia", s.d., pp. 41, 55 e 75.
    17. La Sacra Consulta fu istituita da Paolo IV (1555-1559) e compresa nelle quindici congregazioni fissate da Sisto V con la bolla Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588. Si occupava, tra l'altro, del governo politico e civile delle comunità, dell'elezione delle magistrature e dei consigli comunali e della formazione dei bussoli.
    La Congregazione del buon governo, invece, fu istituita da Clemente VIII con la Costituzione del 30 ottobre 1592; da essa dipendeva l'amministrazione economica delle comunità e ad essa era delegata la sovrintendenza sulla corretta applicazione della Pro commissa che, a giudizio di Elio Lodolini, affidava alla Congregazione la funzione di "tutrice dei Comuni" che mantenne fino al 1831, quando con l'editto del cardinale Bernetti si attribuì tale compito alle autorità provinciali. Cfr. E. LODOLINI, L'amministrazione periferica e locale nello Stato Pontificio dopo la Restaurazione, estratto da "Ferrara viva", I, 1959, n. 1, p. 26.
    Sull'organizzazione del governo pontificio a livello centrale e locale e sulle funzioni e caratteristiche dei diversi uffici si possono vedere i due seguenti testi, dai quali sono state tratte numerose informazioni: ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L'Archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario, a cura di E. LODOLINI, Roma, Ministero dell'Interno, 1956 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XX) pp. XIII-XXVIII e G. GIUBBINI, L. LONDEI, op. cit., pp. 9-43.
    18. ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, op. cit., p. XV.
    19. Ibid., p. XXIX.
    20. Sul carattere oligarchico dei consigli cittadini, appannaggio dei membri di un numero limitato di famiglie, si veda quanto scrive Luigi Londei. Cfr. G. GIUBBINI, L. LONDEI, op. cit., p. 16.
    21. Ibid., p. 14 e ARCHIVIO STORICO COMUNALE PREUNITARIO DI CAMPELLO SUL CLITUNNO (d'ora in poi ASCPCSC), Atti del vicario, regg. 6, 11 e 13.
    22. ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, op. cit., p. XXX.
    23. Ibid., p. XXXI.
    24. Ibid., p. XX.
    25. Ibid., p. XXXIII.
    26. Ibid.
    27. ASCPCSC, Contabilità e finanze, Tabelle preventive e consuntivi.
    28. Ibid., Capitoli, reg. 92. Gli appalti avvenivano attraverso la pratica dell'accensione e dell'estinzione della candela, che si svolgeva nel corso delle arenghe generali ed è infatti descritta nei libri del vicario. Ibid., Atti del vicario.
    29. Ibid., Capitoli, reg. 92, cc. 2-3.
    30. Ibid.
    31. Ibid.
    32. Del Monte frumentario di Campello conserviamo soltanto, nell'archivio dell'Ente comunale di assistenza già Congregazione di carità, poche carte del periodo 1872-1889. Sappiamo però che questa istituzione venne fondata in epoca remota e fu riorganizzata a partire dal 1843.
    Tutte le informazioni relative ai capitoli sono tratte dal registro della serie relativa; le carte sono indicate nel testo tra parentesi.
    33. "La giurisdizione sui danni dati, importantissima in un'economia quasi esclusivamente agricola, era infatti strettamente legata alle normative ed alle usanze locali e, a differenza di quella generale civile e penale, difficilmente poteva essere fatta oggetto di interventi uniformatori da parte del potere centrale. Essa, a causa della sua natura, comprendeva fattispecie che oggi considereremmo sia civili sia penali e, per le relative cause, esistevano, in ogni comunità, organismi giudiziari speciali, di solito emanazione delle stesse comunità, cui andavano i relativi proventi". G. GIUBBINI, L. LONDEI, op. cit., p. 28.
    34. Nel 1586, con la riorganizzazione statale di Sisto V, fu introdotta "una nuova imposta indiretta che colpiva un genere di larghissimo consumo come il vino, in ragione di un quattrino per ogni "foglietta" (all'incirca mezzo litro). Essa, denominata tassa della foglietta, doveva essere riscossa dagli osti contestualmente al prezzo di vendita e si applicava esclusivamente al consumo del vino al minuto. Inizialmente questa imposta venne, come quella della carne, data in appalto, ma nel 1588 ne venne trasferita l'esazione ai comuni". Ibid., p. 27.
    35. P. CAMPELLO DELLA SPINA, op. cit., p. 268.
    36. B. FABRIZI, op. cit., p. 16.
    37. Il Clitunno e la sua gente...., cit., p. 84.
    38. A. SANSI, Storia del Comune di Spoleto dal secolo XII al XVII seguita da alcune memorie dei tempi posteriori, note tipografiche, p. 310.
    39. ASCPCSC, Contabilità e finanze, Entrate e uscite, reg. 144, c. 1.
    La Reverenda Camera apostolica era un antichissimo organismo preposto, sotto la direzione del cardinale camerlengo, all'amministrazione economica della Santa sede. Nel corso del XVI secolo, quando si sviluppò una vera e propria amministrazione centrale, la Camera accrebbe le proprie funzioni e si articolò in diverse branche. A fianco del camerlengo si delineò la figura del tesoriere generale, responsabile della gestione finanziaria e fiscale; vi erano poi i chierici di camera preposti alle prefetture o presidenze, che si occupavano dei diversi rami dell'amministrazione ed altri uffici ed organismi. Fra gli organi giurisdizionali che ebbero grande rilievo all'interno della Camera è da segnalare il tribunale dell'Auditor camerae. Cfr. G. GIUBBINI, L. LONDEI, op. cit., pp. 17-18, 22 e L. LONDEI, La funzione giudiziaria nello Stato pontificio di antico regime, in "Archivi per la storia". Rivista dell'Associazione nazionale archivistica italiana, IV (1991), n.1/2, pp. 18-19. Va inoltre segnalato M. G. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi (secoli XV-XVIII), con contributi di P. Cherubini, L. Londei, M. Morena e D. Sinisi, Roma, Archivio di Stato in Roma, Scuola di archivistica paleografia e diplomatica, 1984.
    40. ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, op. cit., p. XLVIII.
    41. Ibid., p. LI.
    42. ASCPCSC, Contabilità e finanze, Entrate e uscite, reg. 144
    43. Ibid.
    44. ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, op. cit., p. XLV.
    45. ASCPCSC, Contabilità e finanze, Entrate e uscite, reg. 144.
    46. ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, op. cit., p. XLV.
    47. ASCPCSC, Capitoli, reg. 92, c. 72; Contabilità e finanze, Entrate e uscite, reg. 144, c. 3r.
    48. Ibid.
    49. Ibid.
    50. Ibid.
    51. Ibid. Contabilità e finanze, Bollettari, reg. 235, cc. 256v-257r.
    52. Ibid., Entrate e uscite, reg. 144 , cc. 241-250. La prima registrazione è del 18 aprile 1798.
    53. Ibid., c. 317r.
    54. U. SANTI, E. FORTUNATO, Spoleto nell'età rivoluzionaria e napoleonica (1789-1815), Accademia Spoletina, 1989, pp. 43-44. Il secondo dipartimento dell'Umbria era quello del Trasimeno, con capoluogo Perugia. Cfr. anche Guida generale degli Archivi di Stato, op. cit., p. 493.
    55. U. SANTI, E. FORTUNATO, op cit. "Antonio Girlanitz, aiutante in campo del generale Schneider, preso possesso di Spoleto il 9 agosto 1799, nominò una reggenza provvisoria di dieci membri per il governo della città e territorio". Guida generale degli Archivi di Stato, op. cit., p. 536.
    56. Ibid.
    57. Ibid., pp. 494, 537.
    58. Gli storici locali sono concordi nel sostenere che la restaurazione del potere papale non ebbe a Spoleto un carattere particolarmente "grave e pesante", poiché "mite" era stata l'azione degli Spoletini in favore di Napoleone. A tal proposito si veda A. LAUDENZI, La restaurazione a Spoleto (1816 - 1830), Spoleto, Accademia spoletina, 1971.
    59. E. LODOLINI, op. cit., p. 11. Le delegazioni furono divise in prima, seconda (tipologia d'appartenenza di Spoleto) e terza classe; a capo di ciascuna di queste, sia per l'aspetto amministrativo che politico e giudiziario, fu posto un delegato di nomina papale, che doveva rappresentare il potere centrale e garantire l'imparzialità nella gestione del potere. Il delegato era assistito da due assessori con funzioni giudiziarie, uno in materia civile, l'altro in materia penale" e dalla Congregazione governativa di nomina papale ma costituita da membri locali. Infine c'era un Segretario generale, colui che, scelto dal Papa, aveva funzioni di segretario nella Congregazione governativa.
    60. Ibid, pp. 12 - 13; 22-23.
    61. Era stato l'editto del cardinale Ettore Consalvi del 26 novembre 1817 ad istituire nei comuni minori i vicegovernatori, che dovevano essere scelti tra gli uomini migliori del luogo ed essere stipendiati dalle comunità. "Le loro principali competenze erano quelle di presiedere i consigli locali e di giudicare nelle cause di danni dati semplici, nelle cause meramente pecuniarie di valore non eccedente i cinque scudi e in quelle criminali che prevedevano come pena la detenzione fino ad un mese. Nel 1824 le attribuzioni dei vicegovernatori furono abolite e i gonfalonieri ebbero facoltà di decidere e conciliare economicamente le controversie civili, mentre le questioni di danno dato divennero competenza dei governatori, così come le questioni criminali". SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L'UMBRIA-COMUNE DI GUALDO CATTANEO, L'archivio storico comunale preunitario di Gualdo Cattaneo e i fondi aggregati (1392-1861). Inventari, a cura di S. MARONI, Perugia, 2001 (Segni di civiltà. Quaderni della Soprintendenza archivistica per l'Umbria, 9), p. 67.
    62. ASCPCSC, Delibere del Consiglio comunale, fasc. 1. Si veda anche Riparto dei governi e delle comunità dello Stato pontificio con i loro rispettivi appodiati, Roma, presso Vincenzo Poggioli stampatore della Rev. Cam. Apost., 1817.
    63. A questo proposito si veda il giudizio espresso da Aulo Laudenzi in merito alla riforma del governo delle autorità locali. Dice infatti: "Fu forse su questo punto della organizzazione delle comunità locali che il motu proprio del 6 luglio 1816 presentava le più ardite novità rispetto alla organizzazione pre-rivoluzionaria. Cadeva infatti il secolare privilegio vantato dai nobili di amministrare le città, in quanto (art. 155) i consiglieri dovevano essere scelti nella classe dei possidenti, degli uomini di lettere, dei negozianti e dei capi-professioni. I ceti nobiliari erano mantenuti in possesso della prerogativa di sedere in consiglio comunitativo, limitatamente alla metà del numero dei componenti il consiglio stesso (art. 157)." A. LAUDENZI, op. cit., p. 12. Nel primo Consiglio comunicativo post riforma della città di Spoleto le due comunità di Campello e di Pissignano, allora e per poco appodiate, avevano come rappresentanti i due sindaci Giovanni Bernardi e Ponziano Sidoni. Ibid., p. 13.
    64. ASCPCSC, Delibere del Consiglio comunale, fasc. 1.
    65. Ibid.
    66. Ibid.
    67. E. LODOLINI, op. cit., pp. 24-25.
    68. Ibid.
    69. A. LAUDENZI, op. cit., p. 87.
    70. ASCPCSC, Delibere del Consiglio comunale, fasc. 10. Scrive ancora Aulo Laudenzi: "In sostanza le sedute dei Consigli Comunitativi si svolgevano così: prima il Gonfaloniere esponeva l'argomento in discussione, che poi veniva illustrato con un loro discorso da uno o da ambedue gli arringatori. Poi potevano fare le loro osservazioni, nell'ordine, il Gonfaloniere, gli Anziani e i Deputati ecclesiastici ed infine potevano prendere la parola i consiglieri". A. LAUDENZI, op. cit., p. 86.
    71. ASCPCSC, Delibere del Consiglio comunale, fasc. 6.
    72. Riparto territoriale dello Stato ecclesiastico, allegato al Motu Proprio del Regnante Sommo Pontefice Papa Leone Duodecimo del ventuno Dicembre Mille Ottocento Ventisette.
    73. Ibid.
    74. Ibid., fasc. 7.
    75. Ibid.
    76. Ibid., fasc. 21.
    77. E. LODOLINI, op. cit., p. 14.
  • Redazione e revisione:
    Santolamazza Rossella, 30/09/2004, Coordinamento scientifico / Chiapperi Sara, 30/09/2004, Riordinamento ed inventariazione / Iodice Michele, 31/05/2010, Riversamentoin Sesamo 4.1