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Governatore di Narni, Narni (Terni), 1520 - 1805

  • Ente
  • Estremi cronologici: 1520 - 1805
  • Intestazioni:
    Governatore di Narni, Narni (Terni), 1520 - 1805
  • Altre denominazioni: Governatore di Narni
  • Le magistrature giudiziarie operanti a Narni dagli inizi del Cinquecento, sino alla metà del secolo, sono il vicepodestà, o vicepretore, il podestà, o pretore, ed il governatore.
    I conflitti di giurisdizione sorti tra il podestà e il governatore determinarono l'intervento del Legato di Perugia e della provincia dell'Umbria che, il 25 giugno del 1544 da Perugia, inviò una missiva ai priori di Narni dove si ribadivano le rispettive competenze e funzioni e se ne imponeva il rispetto. Nelle cause criminali e miste più gravi, nelle quali è prevista la pena capitale o la confisca dei beni, o dove la pena pecuniaria supera i "trecentos aureos" (sic), o dove l'evento turba la quiete pubblica, solo il governatore o il suo auditore possono procedere, conoscere, condannare o assolvere. Il podestà non può intromettersi in alcun modo né procedere - a meno che non sia stato richiesto dallo stesso governatore - sotto pena della privazione dell'ufficio e cinquecento ducati di camera da applicare immediatamente alla Camera apostolica. Nelle altre cause criminali di minore entità possono procedere, conoscere e sentenziare tanto il governatore quanto il podestà. Le cause civili ordinarie che si intentano in giudizio, in prima istanza, spettano solo al podestà - giudice ordinario e competente - e solo da lui possono essere conosciute e terminate. In seconda ed ultima istanza, giudice ordinario delle appellazioni è soltanto il governatore. Le cause "de extraordinariis", nelle quali si procede sommariamente, sia in prima che in seconda istanza, possono essere conosciute e terminate dal governatore o dal suo auditore. Nelle cause civili si deve pagare per le sportule quanto stabilito negli Statuti, ordinamenti e riformanze della città. Nelle cause criminali, dove è inflitta la pena della morte naturale o civile, si devono pagare due scudi, dove è inflitta la pena corporale - senza arrivare alla morte - si deve pagare uno scudo. Alla fine del secolo XVI le figure del vicepretore e del podestà non risultano tra le magistrature. Tuttavia nei "Manuali" del secolo XVIII a lato degli atti è presente, a volte, la scritta "Pretore". Questa discordanza ha portato ad un ampliamento della ricerca ad altre serie dell'Archivio storico comunale: atti politici, atti amministrativi e atti economici, la ricerca ha confermato l'assenza di dette figure. Pertanto si può azzardare l'ipotesi che nel Settecento il pretore fosse un giudice municipale. Certo è che dalla fine del Cinquecento e per tutto il secolo XVIII, protagonisti dell'amministrazione della giustizia a Narni sono il governatore ed il vescovo.

    IL PODESTÀ
    La sua presenza è attestata sin dal 1513; egli nel presentarsi nella "sala magna" del palazzo dei Priori fa mostra della sua famiglia e degli ufficiali che risultano essere: un giudice collaterale, un "miles socius", un notaio per gli "extraordinaria", un notaio per i malefici, otto domicelli ed un cavallo. Identica la composizione della famiglia e degli ufficiali del podestà in carica nel 1516, alla quale si aggiunge però la presenza di sei birri. Il podestà, il cui ufficio è detto anche pretura, dura in carica sei mesi; durante tale periodo non può né allontanarsi né assentarsi per lungo tempo dalla città senza una preventiva licenza da parte del supremo magistrato (che si ritiene essere il governatore, compresente al podestà dal 1515); in caso contrario è passibile della pena di 25 libbre da ritenere dal suo stipendio e da applicare al Comune. Prima di accedere al palazzo (probabilmente quello dei priori) deve, con la sua famiglia, comparire pubblicamente davanti allo stesso magistrato per giurare fedeltà agli statuti e consuetudini della città. L'operato del podestà e del suo mandato, è controllato dai sindaci e alla loro sentenza non si può appellare. Il podestà deve conoscere in prima istanza tutte le cause civili, criminali e miste e nel terminarle deve essere attento affinché non sia arrecato pregiudizio ad alcuno. Non gli è lecito accettare sportule per le sentenze ordinarie e per ogni altro genere di pronunce da farsi, né per accuse e processi ordinari sia civili, criminali che misti. E' tenuto a versare la metà dei proventi delle pene degli "extraordinaria" e dei danni dati al Comune e a consegnargli le copie di tutte le inquisizioni dei danni dati e dei malefici, pena il pagamento di dieci libbre. Per lo svolgimento del suo ufficio deve avvalersi di un "socius miles", cui spetta la conoscenza delle cause la cui entità non superiore alle 10 libbre, due servi, un notaio per l'ufficio degli "extraordinaria", un notaio per i danni dati e per le cause criminali. I Priori hanno la facoltà di concedere grazia delle pene inflitte per i danni dati e per gli "extraordinaria". Gli ufficiali del podestà, nell'esecuzione dei crediti di persone, non possono accettare né per l'esecuzione fatta, né per i crediti sia civili che criminali, alcunché se non quanto previsto dal diritto municipale. Anche nelle esecuzioni dei crediti della Comunità l'ufficiale non può accettare niente; inoltre è tenuto a consegnare al Comune i pignoramenti che devono essere fatti entro tre giorni. In una supplica senza data, presumibilmente della seconda metà del secolo XVI, la Comunità di Narni chiede al pontefice di poter eleggere nuovamente il podestà ad amministrare sommaria giustizia. Fin dall'aprile del 1553, infatti, la comunità decise di non eleggere più il podestà per sostenere, con il suo salario, il pagamento delle spese per la fortificazione delle mura cittadine. Di conseguenza le competenze a lui spettanti furono affidate al governatore. Nella suddetta supplica la Comunità si impegna, pur di riavere il podestà, a corrispondergli un salario di dieci scudi al mese sostenendone direttamente l'onere, sollevando da questo la Reverenda Camera apostolica.

    IL VICEPODESTÀ
    La figura e le funzioni del vicepodestà o vicepretore sono contemplate dal 1515. Egli è giudice e viene eletto secondo le procedure previste dalla Comunità. Insieme con la sua famiglia e i suoi officiali deve giungere nella città, visitare la cattedrale e farvi un'offerta, poi comparire davanti ai Priori per giurare di osservare diligentemente l'ufficio, che è di durata semestrale. Prima del giuramento egli deve promettere solennemente di non fare rappresaglie contro la Comunità o contro i suoi concittadini se per qualsiasi motivo non gli viene corrisposto, in toto o in parte il suo salario, che gli viene dato dalla Camera apostolica. Egli deve avere presso di sé un notaio pubblico non minore di anni trenta esperto, un "socius miles" due notai di età non inferiore ai 25 anni, di cui uno addetto ai malefici e l'altro per gli "extraordinaria", un domicello e sei birri. E' consuetudine che un quarto dei proventi degli "extraordinaria" spetti al vicepretore; egli non può chiedere di più, pena 25 ducati da ritenere dal suo salario ad opera del Comune e la restituzione del doppio al reo. Al termine dell'ufficio il vice pretore, insieme alla la sua famiglia, è sottoposto a sindacato. E' tenuto altresì, secondo la forma degli Statuti della città, a consegnare ai Priori, 15 giorni prima della fine del suo ufficio, i libri e le scritture prodotti.

    IL GOVERNATORE
    La presenza del governatore è attestata dal 1515; la sua residenza è stabilita alla Rocca. Nel suo operato è affiancato da un luogotenente, o da un auditore. Dalle riformanze risulta che al suo ingresso nella città si presentava ai priori, ai regolatori ed ai sindaci esibendo lettera di breve, il cui tenore è costantemente trascritto in ogni riformanza, attraverso la quale il pontefice in carica lo deputava al governo. Quindi si impegnava ad assolvere il suo ufficio esercitando diligentemente la giustizia e giurando di osservare, e di far osservare i "privilegia, statuta, ordinamenta, constitutiones et reformationes" della città. Al governatore non potevano essere versati gli emolumenti provenienti "ex penis maleficiorum" che invece spettavano al camerario apostolico. Il governatore venne a sostituirsi al podestà nell'amministrazione della giustizia e non solo: essendo un organo periferico dello Stato pontificio, aveva competenze molto ampie sia in campo amministrativo che in quello giudiziario. Ad esempio, in materia di giustizia, aveva competenze soprattutto in questioni di diritto penale, ma anche in questioni di diritto civile, andandosi così a sostituire alle magistrature comunali, ottemperando alla volontà di limitare, da parte del potere centrale di Roma, le funzioni e le competenze politico-amministrative delle locali magistrature. Il governatore aveva il compito di presiedere i consigli comunali; di ricevere il giuramento dei consiglieri, dei priori e degli ufficiali; per il mantenimento dell'ordine pubblico e per l'esecuzione delle sentenze, aveva alle sue dipendenze il bargello e i birri. Alla fine del suo operato, insieme alla sua famiglia, doveva sottoporsi a sindacato. Durante il XVI secolo il sistema dei governi provinciali di ampie estensioni (sistema con il quale era ripartito l'intero territorio dello Stato sulla base delle costituzioni albornoziane) (1) fu man mano sostituito da una riorganizzazione dello stato in distretti, di sicuro più limitatamente estesi comunque sempre direttamente sottoposti alle autorità centrali, e in legazioni, con a capo un legato pontificio coadiuvato da un luogotenente. La necessità di uniformare gli ordinamenti giuridici, diversi da località a località, portò alla creazione di un sistema di tribunali superiori (il Tribunale della Segnatura che aveva il compito di esaminare i ricorsi contro le sentenze e i provvedimenti di ogni autorità giudiziaria dello Stato sia in materia criminale che civile, il Tribunale della Rota romana che era il massimo tribunale civile di merito dello Stato) e di strutture che avevano il compito di sovrintendere alla reale applicazione della normativa.
    Il processo di centralizzazione fu ancor più problematico per le magistrature criminali, tanto che le magistrature locali si opposero spesso all'espansione dei poteri dei governatori (termine con cui vengono indicati i magistrati dipendenti dal potere centrale), riuscendo talvolta ad ottenere provvedimenti pontifici a proprio favore, ma la tendenza centralizzatrice finì per prevalere. I governatori, oltre alla giurisdizione criminale, riuscirono ad attrarre a sé anche molta parte di quella civile con la conseguenza che la magistratura di emanazione statale acquistò una netta prevalenza su quella di origine comunale. A seguito della riforma voluta da Sisto V con costituzione "Immensa eterni Dei" del 22 gennaio 1588, vennero istituite le congregazioni cardinalizie quali organi stabili per il governo dello Stato, tra cui quella della Sacra Consulta, che si affermò come organo superiore di tutta l'amministrazione della giustizia penale e che nei secoli XVII e ancor più XVIII, avocò sempre più a sé anche il compito di controllare il governo politico delle comunità. Si occupò infatti, in maniera sempre maggiore, della formazione degli organi di governo, in particolare delle nomine dei membri dei consigli comunali e inoltre della nomina di gran parte dei governatori locali, che si potevano suddividere in quattro classi: governatori "prelatizi", di breve, di patente e subordinati. Tale sistema centrale delle magistrature giudiziarie durò, senza considerevoli variazioni, sino alla fine del sec. XVIII, quando, per effetto delle ondate rivoluzionarie, tutto il territorio dello Stato venne ristrutturato e diviso in otto dipartimenti, articolati a loro volta in cantoni e comuni. Le funzioni giudiziarie furono affidate ad un sistema di tribunali, civili e penali, del tutto separato dalle strutture amministrative e legislative, sia centrali che periferiche (2). Dopo la caduta della Repubblica romana, per effetto delle disposizioni del cardinale Consalvi, il territorio venne diviso in sette delegazioni apostoliche in cui l'ordinamento giudiziario fu esercitato dal delegato apostolico, che di fatto continuava ad espletare le funzioni e i poteri dell'antico governatore. La documentazione pervenuta attesta l'operato del governatore di Narni dal 1508 al 1805.

    LA CANCELLERIA CRIMINALE DI ROCCA
    Notizie in merito al funzionamento del sistema giudiziario possono essere desunte dall'analisi dei "Capitoli e tasse da osservarsi dal cancelliere criminale in Rocca del 1614 febbraio 8 fatti dalli Signori Deputati in virtù dell'illustrissimo Consiglio per ordine del Governatore Eustachio Confidati", confermati e fatti entrare in vigore il 15 maggio del 1614. Al cancelliere è fatto obbligo di fare l'inventario (di cui non è specificato alcunché) solo in presenza della "relatione del Chierurgo cum pericolo vita" e nel farlo non deve ricevere alcuna ricompensa se non nel caso in cui viene imposta la pena della confisca di tutti i beni o parte di essi. Deve stendere le sentenze assolutorie e registrarle nei libri delle inquisizioni o querele nel fine della medesima inquisizione o processo; per il servizio della cancelleria può servirsi solo dei libri "legati, cartulati, bollati" con il bollo della Comunità di Narni in ciascuna carta pertanto deve portare tali libri al Palazzo dei priori per farsi mettere il bollo.
    In caso di inottemperanza, oltre alla pena pecuniaria di 50 scudi è sottoposto alle pene arbitrarie inflitte dal governatore. Al termine dell'ufficio deve lasciare tutti i libri redigerne e pubblicarne il repertorio. Deve mostrare, gratuitamente, i processi e le altre scritture all'avvocato e al procuratore dei poveri, nonché alle persone miserabili; non può rogarsi in cause civili. E' inoltre tenuto a "dare sicurtà idonea in segreteria delli Priori, di stare a sindacato et obbligarsi per istrumento giuriato con l'obbligatione?d'osservanza li presunti capitoli e tassa oltre che le Tasse Aldobrandine". Nel caso in cui siano inquisite o processate più di tre persone, non si doveva pagare se non per tre persone, anche in un collegio o università; i processi possono essere cassati solo a richiesta delle parti oppure nel caso in cui il reo lo richieda per via di supplica e a tal fine il cancelliere deve mostrare il processo a chi vorrà supplicare salute.
    Dall'elenco degli atti soggetti alle tassa per il cancelliere, si ha diretta testimonianza della loro natura: risposta all'inquisizione, esame di testimone in causa criminale, rogito di "istrumenti de'paci sicurtà non offendendo"; rogito di sentenze assolutorie in causa capitale, in causa di pena corporale e in causa pecuniaria; copie di sentenze capitali e copie di sentenze di pene corporali esecutorie, cassatura di processo in causa capitale e in causa di pena corporale e pecuniaria. Sono previste anche tasse per il viatico in cause criminali per andare fuori dalla città a fare l'inventano o processi informativi; in cause per andare a vedere il luogo ad istanza delle parti sia dentro che fuori della città. Nel 1617 si impedisce al cancelliere di sublocare la cancelleria, e di farsi sostituire, se non con il consenso dei priori e del consiglio di cernita. Nel 1619 si ordina ai cancellieri di dare gratis le scritture e di osservare tutti i capitoli e tasse sopra la detta cancelleria, in caso contrario i priori possono rimuovere il cancelliere che non può appellarsi da questa decisione.

    IL VESCOVO
    Prima di esaminare la giurisdizione del vescovo e la composizione della sua curia, è necessario premettere che circa la questione se tale giurisdizione potesse essere estesa o meno anche ai laici risolutiva fu la costituzione "Praestat Romanum Pontefìcem" emanata da Clemente XIII il 23 agosto 1766. Con essa il pontefice dichiarò che alla curia ecclesiastica non competeva alcuna giurisdizione sopra i laici sia nelle cause criminali che in quelle civili, ad eccezione di quelle di misto foro e quelle meramente ecclesiastiche anche se vi fosse stato di mezzo alcun laico. Si accordava solo il potere di esercitare detta giurisdizione qualora fosse stata provata la consuetudine "quae et quadragenaria sit et perpetuo constans non umquam vel contradicta vel interrupta". Alcune curie vescovili, tra le quali quella di Spoleto e quella di Terni, pretesero di esercitare la cumulativa a norma della costituzione che di fatto gliela negava. Questa costituzione lascia intatta la questione relativa alla confusione della giurisdizione nei due secoli precedenti. Si ricorda che le cause di misto foro sono quelle che potevano essere di competenza sia del foro secolare che di quello ecclesiastico ossia nel caso in cui la persona è secolare e la pena è statuita dal diritto canonico. Per quello che concerne la giurisdizione del vescovo di Narni e la composizione della sua curia nella seconda metà del secolo XVII, le informazioni a disposizione sono quelle fornite dal sinodo celebrato nella città nel 1665. Esso è l'unico di cui si ha notizia e l'unico ad essere stato pubblicato. L'ufficiale di maggior rilievo nella curia vescovile, composta dal vescovo, vicario generale e vicario foraneo, risulta essere il vicario generale. E' suo compito sbrigare rapidamente le cause, specialmente quelle delle persone miserabili, ed aver cura dell'incolumità dei litiganti; a lui si raccomanda che le cause la cui entità non supera la somma di "decem aureorum" (sic) e quelle in cui verte il pericolo delle anime, come quelle matrimoniali, siano terminate prima dei giorni festivi. Egli si deve adoperare affinché i poveri e le persone miserabili non rimangano indifesi e che il loro patrocinio sia affidato a qualche causidico ben esperto. Se quest'ultimo rifiutasse l'incarico, senza un motivo valido, dovrà essere allontanato dal foro vescovile. Il vicario generale deve vigilare perché sia data esecuzione
    ai decreti ed ai mandati; deve essere un accurato esecutore giuridico dei sacri canoni, delle costituzioni pontificie e del Concilio di Trento. Non gli è lecito sostituire un altro a sé, conferire benefici, rilasciare le denunce degli scomunicati. Se un procuratore o un notaio sostiene consapevolmente qualche causa iniqua, oppure pronuncia parole ingiuriose contro qualcuno alla presenza del vicario o in cancelleria o dove si svolge l'udienza, viene punito con la pena della privazione dell'ufficio. I notai del foro vescovile hanno l'obbligo di riportare tutti gli atti dell'azione giudiziaria in un libro e non in schede o fogli sciolti; tali direttive devono essere osservate dal cancelliere delle cause criminale.
    Grande rilievo ha nella diocesi la figura del vicario foraneo al quale devono obbedienza tutti i chierici; è suo compito vigilare sulle chiese collegiate e parrocchiali, sui sacelli e su tutti i luoghi pii e far osservare i decreti dei sinodi; controllare che nei giorni di festa non siano eseguiti lavori servili e altresì indagare sulla vita e sui costumi dei chierici. Nel caso che venga commesso qualche delitto pertinente al foro ecclesiastico, i vicari foranei si devono adoperare affinché i giudici secolari non lo conoscano ma, chiamato il notaio, devono accogliere la denuncia o la querela di quel delitto e trasmetterla immediatamente e fedelmente alla curia o al vicario generale affinché i rei siano puniti, sotto pena della privazione dell'ufficio. Le cause civili, criminali e miste affidate al vicario foraneo o a quello generale devono essere trattate, relativamente alle spese, come quelle ordinarie. I parroci e tutti coloro che hanno cura delle anime sono esortati a denunciare al vescovo gli eretici, coloro che sono dediti alle arti magiche o che detengono, leggono, stampano libri messi all'Indice. Contro costoro si applicano le pene previste dalle sacre costituzioni ed altre ad arbitrio del vescovo e della curia. I fedeli di Cristo devono denunciare i bestemmiatori, che saranno puniti con le pene previste dalle sacre costituzioni, al vicario generale o a quello foraneo. I parroci devono vigilare sul crimine dell'usura ed indagare se esso traspare da pubblico instrumento o apoca privata. Tuttavia nessuna pena è prevista per gli usurai ai quali si infligge solo una "paternam ac sacerdotalem correctionem". Maggior ampiezza di poteri è conferita ai parroci che hanno il compito di denunciare al vescovo coloro che non osservano le regole per la celebrazione delle festività, durante le quali è proibita ogni forma di spettacolo sia nei luoghi pubblici che nelle case private. Pene pecuniarie, che saranno poi devolute ai luoghi pii, sono previste tanto per chi vi partecipa tanto per chi vi assiste. Sono vietati i mercati nonché "contractus, strepitusque iudiciales, exceptis a iure permississ ac executiones reales et personales diebus festivis prohibitas esse declaramus sub poena nullitatis actorum". Solo previa licenza del vicario generale e in occasione di assoluta necessità è permesso lo svolgimento dei lavori servili. Le restrizioni diventano ancora più rigide durante la quaresima: è vietato esporre e vendere al pubblico (tranne che ai malati forniti di licenza dei medici e della testimonianza dei parroci) i cibi proibiti ossia latte, carne, uova; è proibita ogni forma di spettacolo. I contravventori incorrono in pene pecuniarie, devolute ai luoghi pii, ed in altre inflitte ad arbitrio del vescovo. Puntuali disposizioni regolano la vita dei chierici. In particolare ad essi è proibito svolgere le funzioni di avvocato e procuratore, tranne in quei casi previsti dal diritto e solo in presenza del giudice ecclesiastico; per espletare tali funzioni davanti al giudice laico è necessaria la licenza del vescovo o della sua curia. Non possono esercitare la tutela e la cura dei laici, né essere loro fideiussori, se non nei casi di pietà e col consenso del vescovo. A loro è interdetto l'ufficio di tabellione, notaio e cancelliere; non possono esercitare l'arte medica, anche senza incisione, né possono sporgere querele se non nei casi permessi dal diritto. In particolare agli ecclesiastici si proibisce anche di partecipare a giochi, nonché di portare armi sia da difesa che d'offesa. Le pene pecuniarie inflitte sono destinare parte all'accusatore e parte ai luoghi pii. A seconda dell'arma portata, è previsto anche il carcere. I parroci devono segnalare al vescovo i concubini; nei confronti di questi si può procedere ex officio se è assente l'accusatore. Le pene inflitte, di natura corporale e pecuniaria, diventano più severe - sino alla privazione del benefìcio - qualora siano concubini i parroci stessi. Si vieta alle meretrici di uscire di notte e fermarsi nelle taverne; le pene sono pecuniarie ma, a seconda dei casi, è previsto il carcere, l'esilio, la fustigazione. Il vescovo punisce a suo arbitrio, oltre che con l'esilio dalla diocesi, coloro che si macchiano di lenocinio.

    IL TRIBUNALE DEL GOVERNATORE ED IL TRIBUNALE
    DEL VESCOVO. COMPETENZE, ABUSI, AGGRAVI
    Dall'esame del Fondo Giudiziario è emerso che sin dal secolo XVI a Narni esistevano due tribunali:
    - Tribunale del governatore
    - Tribunale del vescovo
    I "Manuali" sono infatti intestati al governatore, al vescovo, oppure ad entrambi. In quelli intestati al solo governatore sono registrati atti costituiti da appelli che avvenivano alla presenza del vicario generale del vescovo indicato come giudice ordinario delle appellazioni. L'esistenza dei due tribunali, e della funzione di appello del vicario generale, è attestata sin dal 1554 dai capitoli della tassa baldovina. In particolare nel seguente capitolo sono palesate le rispettive funzioni che il "Reverendo vicario del vescovo, d'essa città presente e che sarà per li tempi sia giudice ordinario delle appellazioni delle sentenze che si daranno per il nostro locumtenente in detta città o suo auditore, et a lui come giudice ordinario delle appellazioni si possa appellare e fare tutto quello che poteva fare il nostro signor luogotenente o suo auditore delle sentenze si davano dal Potestà prima che l'officio d'esso Potestà fosse sospeso per ser[...]o della fabrica e nessuna persona possa essere impedita o retardata dall'appellarsi dal detto vicario sotto le pene contenute nelle Sacre Costituzioni della Marca e di ditte [?] d'appellationi se ne abbiano a ragione e scrivere li notarii di detta città che si cavano dal Bossolo come e solito e non altri notarii". Da una attenta lettura dei capitoli della tassa baldovina si riesce a tracciare qualche linea utile per ricostruire il funzionamento degli uffici, nonché qualche tratto della complessa struttura del sistema giudiziario della città di Narni tra il secolo XVI e il secolo XVIII. Nell'anno 1554, il governatore della città di Narni, Balduino del Monte, su sollecitazione di ambasciatori a lui inviati, e per decreto e ordine del generale consiglio a ciò fatto, istituisce un meticoloso sistema di tassazione da pagarsi agli ufficiali in modo tale che costoro non possano più far soffrire aggravi alla popolazione. Dall'elenco delle tasse da pagare emerge una serie di pene inflitte, atti rogati, nonché figure di ufficiali sui quali, se nei manuali
    vengono menzionati, poco o niente è specificato in merito alla loro funzione. Dalla lettura integrale del documento si distinguono le cause criminali per le quali sono previste pene capitali, corporali, pecuniarie, e cause civili, le cui pene sono date dalla prigione e altre di natura pecuniaria. Per quanto concerne le sentenze esse sono di tre tipi: interlocutoria, definitiva, nonché assolutoria di pene sia corporali che pecuniarie. La differenza sostanziale tra sentenza definitiva e sentenza interlocutoria sta nel fatto che la sentenza definitiva è quella che definisce la causa principale o la controversia portata in giudizio ed impone una fine per assoluzione oppure per condanna. L'interlocutoria è quella sentenza che viene pronunciata non alla fine del procedimento sopra la causa principale o controversia ma sopra qualche articolo "emergente" o "incidente" tra l'inizio e la fine della causa come sui rinvii da dare, sui testimoni che devono essere prodotti, accolti, esaminati, respinti. Pertanto, tutto ciò che il giudice decide e stabilisce tra l'inizio e la fine della lite contestata, prima della sentenza definitiva, relativamente alla lite contestata, si dice sentenza interlocutoria. Nel diritto canonico ci si può appellare da entrambe le sentenze, sia la definitiva che l'interlocutoria. Nel diritto civile ci si può appellare solo dalla sentenza definitiva; dall'interlocutoria ci si può appellare solo in determinati casi. In merito alle sentenze assolutorie, la tassa baldovina stabilisce che debbano essere trascritte nei "libri dell'Inquisitione" e che il cancelliere è obbligato alla fine de processo a pubblicare tutti i "libri", cartularli e munirli di repertorio. Contro le persone si procede tramite causa, denuncia, inquisizione. Le citazioni vengono fatte costantemente dal "publicus baiulus" e le esecuzioni dall'esecutore. A proposito delle funzioni di quest'ultimo, si specifica che compie esecuzioni "per riggionia... per la criminale... e per causa civile"; inoltre si stabilisce che nelle esecuzioni per causa civile "se facessero l'esecutione fuori dalla città per un miglio e non possano fare l'Esecutori esecuzione alcuna senza bollettino, o vero mandato esecutivo, fatto da persone che abbiano potestà e autorità ed ancora che detti esecutori non debbano fare esecuzione nelle robbe delle donne quando fossero tenuti l'uomini". Agli esecutori si impone che non possano "pigliare né togliere per esecuzione cose di donne né manco armi di nessuna sorta etiam che li fossero date spontaneamente", pertanto sembra così emergere uno status giuridico particolare delle donne. Gli esecutori, nel fare esecuzioni nelle ville e nei castelli devono osservare norme che limitano la loro azione. Nella fattispecie: "Nullo esecutore possa né debba andare a fare esecutioni per il contado in causa civile, criminale o mista che sia, senza il sindaco della villa o castello; che l'esecutore non possa né debba far fare esecuzione in civile né in criminale a balio nes[sun]o nella città e di fuori nelli castelli o ville notificando che non se li pagherà esecutione nessuna ma averà mandato il balio a sue spese...". Tali limiti sono ancor meglio chiariti nel seguente capitolo, ove si stabilisce che nessun esecutore della corte del detto luogotenente possa né debba fare per qualsivoglia causa civile o criminale a persona alcuna "precetti [finali] senza speciale com[?]ne dei signor luogotenente in scriptis, quali domandandoseli dal condannato, sia tenuto in continente mostrarlo altrimenti non incorra il condannato in alcuna contumacia". Per quel che concerne le citazioni, si è già scritto che queste sono eseguite dal "publicus baiulus". Nei "Manuali" è indicato il suo nome e spesso è specificato se opera per conto del governatore o del vescovo. I bauli citano in Rocca, presentano precetti e altre scritture, cedole, dentro e fuori la città in qualsivoglia castello o villa e si stabilisce che prendano un "baiocco per miglio e d'ogni pegno dentro la città un quattrino e di fuora un baiocco e quelli che ricusassero ipso facto siano privati dell'officio senza alcuna dichiaratione". I baiuli nel portare le prime e le seconde cedole agli inquisiti, perché rispondano alle inquisizioni, non devono ricevere dai medesimi alcuna mercede ne devono essere pagati, pena la restituzione di quanto hanno ricevuto. In particolare per le requisizioni de precetti legittimamente
    presentati ad istanza della parte, e non ex officio, "debbano esser pagati in baiocco per miglio ovunque andassero, per le cedole o precetto che portassero ad istanza della Corte niente li si dia perché sono a tal servitio pagati dalla Comunità mese per mese sotto pena d'esser privato
    dell'officio". Le citazioni per cause civili vanno fatte secondo lo stile, consuetudine e forma degli statuti della città. E' questa una indiretta conferma del rispetto di quanto sancito negli statuti di Narni ove si stabilisce che la prima citazione avviene tramite un'apodissa o cedola portata e lasciata nell'abitazione di colui che viene citato; nella cedola devono essere scritti i nomi del giudice e del notaio, davanti a cui è citato, il giorno della citazione e il termine entro il quale deve comparire. Mediante una cedola o citazione non possono essere citate tre persone a meno che siano testimoni, diversamente la cedola è nulla. Le altre citazioni nelle cause avvengono senza cedola. Qualora se nelle cause di qualcuno ci sono più di tre persone che devono essere citate, allora una cedola è sufficiente riguardo a tutti. L'esame dei restanti capitoli della tassa baldovina illumina anche su questioni di primaria importanza quali i poteri dei sindaci dei castelli, i poteri dei giudici e del luogotenente e su alcuni diritti del reo. Infatti si rileva una diversa ampiezza di poteri tra i sindaci dei castelli ed il luogotenente del governatore poiché si stabilisce che "li sindaci delli castelli non siano tenuti a denuntiare nisi ad accusa delle parti, come sono parole ingiuriose et altre cose simili; ma se l'ingiuria sarà giudicata dal luogotenente degna d'esser punita, che lui ex officio possa procedere; ma venendo l'offeso a domandar l'abolitione sia tenuto a darla....". Anche il giudice trova delle limitazioni nel suo operare, nei capitoli dove vengono riconosciuti alcuni diritti del reo: che il giudice non possa né debba incarcerare né fare incarcerare alcuno per qualsivoglia delitto se prima "non procederanno inditii legittimi e sufficienti, né meno formare Inquisitione eccetto che non fosse il reo trovato in fragrante crimine"; che il giudice non "debba né possa alcun reo pigliato per un delitto, interrogare sopra alcuna altra cosa che di quella ne haveranno inditii legittimi et informatione per testimoni esaminati o vero per informatione". Per quanto riguarda la sorte dei beni e denari che si trovano appresso al reo che deve essere imprigionato, esse devono essere inventariate dal cancelliere del luogotenente alla presenza di due testimoni e depositate al depositario del comune. Qualora qualcuno sia rilasciato sotto securtà non può essere preso dagli esecutori se prima non sarà citato a "representarsi o comparire e pigliandosi non sia tenuto pagare per tal conto cattura alcuna". Ma queste puntuali disposizioni della tassa baldovina sembrano essere disattese proprio dalla persona del governatore, quando la carica venne ricoperta dal 1588 al 1589 da monsignor Angelo Stufa, periodo che viene definito come quello del malgoverno, come risulta nella supplica presentata al pontefice per rendere noti gli aggravi del governatore.
    Dalla lettura del documento risulta che costui non solo governa malamente, ma si arroga anche il diritto di non "servando tasse,... pigliandosi gli emolumenti di la cancellarla, et partecipando del guadagno del custode della carceri; abusi, tanto grandi che detta Communità di Narni non si dovrebbe et non né porgerla Querela se pure un poco fusse sopportabile". Angelo Stufa impone il lavoro di domenica, che è cosa insolita che in quella città si lavori durante le feste, intimidisce il cancelliere affinché gli porti i libri del consiglio di cernita che tratta dei più segreti affari, sopra i quali nessuno deve essere informato. Anzi è proprio il consiglio di cernita della Comunità che può far ricorso ai superiori per gli "aggravii delli governatori et altri officiali". E ancora "oltreché in mano del luogotenente del governatore siano sempre entrati più di dieci scudi il mese di suo guadagno, non di meno esso Governatore porcile partono a mezzo, ogni dì si va applicando delle recognitioni nelle suppliche, nel che la Reverenda Camera è stata defraudata all'ingrosso. Procede contro una zitella di 14 anni tenendola in Rocca carcerata e non avendo neanche voluto lasciarla con sicurtà di rappresentanti col pretesto di trovare ex officio un reato; tuttavia la Sacra Consulta, avendo inteso il fatto ordinò che fusse relassata gratis, et che s'imponesse perpetuo silenzio a tal causa nella quale detto governatore pensava di fare grosso guadagno". Ogni pretesto è valido per incarcerare i cittadini e far pagare tasse arbitrarie per tutti gli atti necessari al presunto reo per uscire. Risulta appurato che coloro che sono accusati dai governatori locali possono ricorrere direttamente alla Sacra Consulta e che parte delle menzionate tasse va alla Camera apostolica, comprese quelle relative alla sicurtà, (misura assimilabile a quella che oggi viene definita cauzione). Anche la richiesta di assoluzione, da parte del reo, deve essere pagata. "Si rende noto che per ogni minima querela che si dia, senza verificare cosa alcuna, manda a pigliare dai suoi sbirri il querelato, et vuole che paghi cattura e custodia de'carceri, copia di processo, et decreto di modo che si bene è innocente non può uscire di prigione che non li costi il tutto da cinque a sei scudi, cosa che mai si è fatta da altri governatori. Inoltre è consuetudine immemorabile a Narni, che uno che sta in segreta, passati li tre giorni non paga le spese delle carceri, ma egli vuole che si paghino dette carceri per tutto quel tempo che vi si sta, partecipando esso degli emolumenti di detti custodi, come anco partecipa degli emolumenti del bargello, et del cancelliere ... se una causa ha più capi, si fa pagare le sportule per tutti li capi et d'ogni minima querela vuole che se ne paghi l'Absolutoria... ed ancora ... condannò tutti quelli che si trovavano querelati per cose di nessun momento, con una semplice citazione, et dopo un istante revocando detta condennatione si fece pagare otto giulli per decreto. Sebbene la comunità di Narni habbia comprato l'offìcio dei danni dati dalla Reverenda Camera, lo Stufa cerca di toglierli col volersi far pagare la pena di essi danni dati et che si conoscano nella sua Corte. La comunità ha pure comprato dalla medesima Reverenda Camera la Cancelleria Criminale; lo Stufa vuole toglierla et vuole che si dia ad un suo servitore, si bene detta Communità l'abbia dato ad un messer Tarammo Lombardi".

    Quanto ai problemi ora affrontati - aggravi del governatore, questione dei danni dati, gestione delle cancellerie - sono ribaditi nel memoriale del 1587, steso in occasione della visita di Innocentio Malvasia. Di nuovo si lamentano aggravi fatti sia dal tribunale del governatore, sia del tribunale del vescovo.
    a) Aggravi del tribunale del governatore:
    i sindaci dei castelli fanno relazioni e denunce anche di semplici parole senza alcuna istanza delle parti/ cosa che comporta l'obbligo di pagare la cassatura, si supplica perciò che i sindaci sporgano denuncia solo su istanza delle parti;
    - "coloro che sono sorpresi a dar danno nelle possessioni altrui, dovendo dare il pegno per il danno dato, per vendetta et dispetto" ricorrono al tribunale del governatore sporgendo querela per essere stati insultati dai padroni delle possessioni; si supplica perciò che tali querele non ricorrendo percosse, non siano scritte oppure qualora i querelanti non provino il fatto entro pochi giorni, siano condannati a pagarne le spese";
    - "al presente si concedono poche abolitioni ma in luogo delle abolizioni sono astretti li querelati a pagare 8 giulli per decreto non facendo però le tasse mentione alcuna di decreti. Per lungo tempo era stata invece consuetudine, qualora le parti fossero concordi, concedere l'abolizione per la somma di due giuli".
    b) Aggravi del tribunale del vescovo:
    - "non si osserva la tassa della Città, che fu fatta dal signor Baldovino Monte, detta perciò la tassa baldovina, ma si pigliano sportule eccessive et inalidite di cinquanta et sessanta scudi, si supplica perciò la confirmatione della tassa baldovina la quale si debbia osservare inviolabilmente tanto nel tribunale del governatore quanto del vescovato";
    - "preiuditio et danno grave ancora ha ricevuto et riceve da qualche anno in qua questa città dalla Corte Episcopale che si è voluta ingerire e si ingerisce nelle cause dei danni dati nei beni ecclesiastici et emphiteotici et anco nei patrimoniali di persone religiose facendo pagare quelle pene che gli pare, nonostante l'ufficio dei danni dati e i notariati, sia civile che criminale, appartengano alla comunità di Narni sin dal tempo del pontificato di Pio V; si supplica perciò che la comunità sia reintegrata da detti suoi notariati et danni dati levatigli di fatto";
    - "Et perchè già in questa città vi era il Podestà che conosceva tutte le cause in prima istantia et poi le cause d' appellationi si conoscevano ?al governatore, ... et il vicario del vescovo non era altrimenti giudice ordinario delle appellationi come hora, perciò si supplica di mandare nuovamente a Narni il podestà affinché per ogni cosa non si abbia a ricorrere a Roma et affinché ancora si abbia a schifare il detto tribunale del vescovato ove si ricevono tanti aggravi, così come fu promesso dalla Santità di Nostro Signore a nostri ambasciatori che in nome pubblico andarono a basciarli il piede".

    Ulteriori ingerenze del tribunale del vescovo ai danni della curia laicale, sono rese note da un altro memoriale della fine del XVI secolo, al quale si è potuto risalire tramite i nomi dei vescovi responsabili degli aggravi. In particolare il vescovo Eroli è indicato come colui che, sulla scia dei suoi predecessori, continua negli aggravi perfino nel periodo in cui è redatto il memoriale.
    La prima delle sfere giurisdizionali ad essere contesa dai due tribunali è quella dei danni dati riguardo alla quale "La magnifica città.... ha continuamente fatta eletione de diversi officiali, i quali dipendevano ed dipendono meramente da essa magnifica comunità facendo capitoli et reformanze secondo l'occasione a talché questo officio mai gli è stato impedito. Le ingerenze cominciano quando Pier Donato Cardinale Cesi è vescovo della città. Egli, sin dall'inizio del suo vescovado nel 1546 fa esercitare l'ufficio dei danni dati ad un suo notaio; l'aggravio venne superato poiché il vescovo osservò il richiamo fattogli dalla comunità. Ma le cose peggiorarono con il vescovo Romolo Cesi "et constituti più notorii in detto affilio del vescovato, tutti esercitavano l'ufficio del danno dato et facendo bandi, et alterando pene nei luoghi di monasteri et Luoghi pii lasciando l'osservanza di detti capitoli et statuti et sopra di ciò tacendo pagarsi pene eccessive... nacque il disturbo tra detta comunità et detto vescovo. La comunità di Narni, dopo la compera dei notariati, civili e criminali, e dei danni dati, concedette benignamente al collegio dei notari di Narni l'essercitio delle cause civili et danni dati et li criminali dandoli a diversi cancellieri de governatori pro tempore et il danno dato a diversi offitiali eletti come appare in cancelleria". Pertanto è indiscutibile che l'ufficio dei danni dati spetti esclusivamente alla Comunità. Ma, se è vero che il vescovo Romolo Cesi osò arrogarsi l'esazione dei danni dati, la situazione precipita con il vescovato dell'Eroli. Costui si inserisce senza più alcun limite sull'ufficio dei danni dati procedendo tanto contro i laici che posseggono beni in enifiteusi quanto su animali, quanto contro animali "proibendo il passare et contravenendo con fargli pagare pena, moltiplicando accuse contro accuse, denegando diffentioni a chi le domanda nè si potendo mai aver copia di testimoni che accusano et finalmente denegando in tutto e per tutto l'audienza et astringendo in prigione o in /.../ sotto pene senza poter mai havere grafia o poca della pena incorsa, facendogli perdere tempo nel ritenerli in prigione, togliere l'animali e mettergli nei stallatici, fare essecutioni sopra li mobili et anelli venderli senz'altra citazione".
    Prima del vescovato di Pier Donato Cesi, nell'ufficio del notariato civile e criminale vi era un solo notaio il quale "essercitava cause tanto civili quanto criminali solo tra persone religiose e contro quelli laici che offendevano religiosi et che havevano a che fare con essi religiosi [...] nelle cause matrimoniali...". Durante la prima metà Cinquecento la giurisdizione della curia vescovile di Narni è limitata all'espletamento delle cause civili e criminali le cui parti potevano essere religiosi contro religiosi o laici contro religiosi. Pier Donato Cesi deputò nel vescovato vari notai che cominciarono ad inserirsi indifferentemente in cause civili e criminali ancora tra laici relativamente a cose profane.
    Lo scontro fra i due tribunali, quello vescovile e quello del governatore, o meglio la prepotenza del vescovo nei confronti della giurisdizione del governatore, continua fino alla fine del Cinquecento, prima con Romolo Cesi poi con Erulo Eroli. "Et da quel tempo in qua si sono fatte estorsioni et aggravi si come im parte ne apparisce nel memoriale già fatto l'anno 1574 contro monsignor Romolo et sua Corte".
    Vere e proprie violazioni dei "diritti del cittadino" vengono perpetrate rifiutando ai carcerati sia il diritto di essere giudicati che di chiedere l'appello. "Li carcerati, etiam che stiano alla larga pagano un grosso al giorno all'essecutore, si bene instessero per un anno et più et [...] in infinito. Li prigioni imputati per qualche delitto per i quali si fa instanza pro absolutione nel condemnatione mai si condannano ma, ritenuti nelle prigioni ut [...] vengano alla gratia acciò i rei non possano appellare a superiori et mostrar le loro ragioni" per le quali legittimamente venivano assolti. Minuziosa è la descrizione delle minacce e soprusi ai detenuti: "alli rei ritenuti in carcere dalli essecutori episcopali si gli fa lo stesso intendere che o saranno tormentati su la fune o con altri tormenti o condannati alla frusta o alla galera o toltigli i beni sollecitandogli ad accomodarsi alla grafia ed affetto che i poveri uomini così ritenuti si risolvano ad accomodarsi". Altri aggravi si rilevano nell'esecuzione dei beni "per l'essecutioni per mandati essecutivi o per altra maniera esseguiti nelli beni subito senza citazione et termine, si vendono detti beni per quel poco che se ne trovano dalli offerenti in bando, in grandissimo pregiudizio dei poveri huomini et loro famiglie" A questi sono aggiunti tutti l'altri aggravi che furono dati a Monsignor Malvasia .... Il vescovo Eroli non risparmia "né ingiurie né insolenze a varie et diverse persone e scoraggia chiunque dal presentare appello, tanto è vero che nelle cause di appellazione esige il doppio delle sportule pagate per le cause ordinarie di prima istanza, contravvenendo a quanto dettato dalle Sacre Costitutioni per le quali in simili cause di appellationi si paghi la metà meno di quello che si paga nella prima istanza". A ragione il tribunale del vescovo è definito come l'ultima rovina della città e il suo contado se è vero che Narni alla fine del Cinquecento risente ancora dello sfascio causato dal Sacco del 1527 e della peste del 1591 forse non ancora esplosa alla data della stesura del memoriale.

    DANNI DATI: ALCUNE NOTIZIE DAGLI STATUTI. I CAPITOLI DEL 1628
    Essendo l'economia del comune di Narni essenzialmente rurale, anche negli Statuti cittadini del 1371, ed in particolare nel "Liber tertius" sono contemplati, tra i malefici, i danni procurati alle cose e alle proprietà campestri. Quindi con grande puntigliosità vengono presi in considerazione i reati alle colture e agli allevamenti. Pene di natura pecuniaria sono previste per chi ruba o devasta uno sciame d'api. Anche la caccia ai volatili era regolamentata. Sono presi e trattenuti gli animali domestici estranei colti a far danno in qualche campo previa denuncia al camerario, senza la quale, l'azione veniva considerata un furto. Il padrone del possedimento poteva chiedere in pegno di risarcimento per il danno subito, una tunica, un indumento, un utensile da lavoro o una fune del valore massimo di dieci soldi.
    La legge comunale tutela le coltivazioni dei campi, le cui rese sono piuttosto oscillanti a causa dei mezzi rudimentali, dei frequenti passaggi di truppe, dei danni causati da animali nocivi o da calamità naturali. Speciale protezione avevano le vigne che dopo l'abbandono dei secoli precedenti erano state di nuovo impiantate nei terreni più facilmente sorvegliabili. Quanto agli animali domestici, che costituivano una ricchezza per la Comunità, era punito chi, spinto dalla collera o per malvagità, li avesse percossi o li avesse danneggiati; le multe sono di natura pecuniaria, da 10 libbre a 100 soldi di ammenda da versare alla Camera, e il risarcimento del danneggiato. Gli incendi, dolosi o accidentali, ai covoni del grano, ai pagliai, alle vigne, agli alberi da frutto e non come pure i guasti procurati alle piantagioni, erano severamente puniti, e se i colpevoli non venivano trovati i vicini stessi del danneggiato erano tenuti a risarcirlo in qualche modo. I ladri dei campi sorpresi in flagranza di reato, potevano essere impunemente percossi. Un'accusa di furto, rivolta ad uno sconosciuto come "pubblicus effamosus fur" comportava l'immediata applicazione della tortura. Tale qualifica non proveniva da voci infondate ma era attribuita dalla legge statutaria a chi, recidivo per tre volte, avesse commesso furti. Giova ricordare che Sisto V aveva applicato alla Camera apostolica le pene dei danni dati deputando un commissario della stessa Camera per conoscerne le cause; successivamente Clemente VIII soppresse quest'ufficio di commissario applicando le dette pene alle comunità dello Stato ecclesiastico. La costituzione di Clemente VIII fu poi riconfermata da Benedetto XIV con la costituzione emanata il 25 gennaio 1751 con cui si stabilì i provvedimenti per conoscere a quale foro spettavano queste cause. Nell'anno 1628 sono posti in essere i 55 capitoli del danno dato redatti in lingua italiana. Innanzitutto si stabilisce che, secondo la consuetudine della città l'officiale sopra l'esecuzione dei danni dati nel territorio di Narni e "anco nelle pertinenze di ciascun castello {...] mila deve essere un notare (sic) fedele e legale da deputare di sei mesi in sei mesi dall'Illustrissimo Consiglio, e debba esser forastiero di patria lontano dalla città miglia venticinque e con l'obbligo di dar sicurtà, d'esercitare l'officio bene diligentemente et fedelmente avanti ne pigli possesso, et anco di render conto dall'Illustrissima Città sempre che ne sarà ricercato dall'Illustrissimi signori Priori [?], dell'emolumenti che si caveranno dal dicto officio d'esser inviolabilmente sottoscritti Capitoli e Statuti et infine dell'officio di star a sindacato per il tempo cui eserciterà detto officio...". L'ufficiale al termine del suo mandato non può riscuotere "alcuna sorte di pene tanto di suppliche segnate espedite ma non pagate quanto delli pegni fatti e messi in picarnaria depositati al tempo del suo officio, ma solo si possino essigere e riscuotere dal suo successore". Mentre è sottoposto a sindacato, non può appropriarsi dei libri dell'ufficio né mettervi le mani. Alla fine del suo operato deve rendere i libri e le scritture da lui prodotti alla Comunità.
    Ampia, e quasi assoluta, è la sua autorità sopra le cause e differenze dei danni dati nei confronti delle quali ha la giurisdizione di procedere, conoscerle, deciderle e terminarle in osservanza dei capitoli in questione e degli Statuti. Una giurisdizione, questa, che appare essere esclusiva, come meglio si evince nel seguente capitolo "che non sia lecito ad alcuno tanto della città quanto del suo Contado e distrecto o habitando in quello per causa de danni dati o dipendenti da quelli spettanti all'officiale del danno dato accusare né in qualsivoglia modo inquisire contro alcuno danno dante avanti altro Giudice o officiale che avanti all'officiale della Communità eccetto non fussero danni dati nelle bandite assegnate dalla Communità all'arte e consortio delli Bifolchi e all'officiale d'essa arte o consortio...".
    Coloro che accusano o inquisiscono in altri luoghi o davanti ad altri ufficiali, incorrono nella pena di 10 scudi da destinarsi per 2/4 alla Communità, 1/4 all'ufficiale, 1/4 alle persone accusate negli altri luoghi, oltre alle spese necessario per il risarcimento dell'onere sostenuto dagli accusati. L'ufficiale deve, con l'aiuto di un balio, quotidianamente fare l'inventario per il territorio di Narni e per le pertinenze dei castelli, sia ad istanza di chi ne fa richiesta sia ex officio; deve altresì deputare dei guardiani che vigilano e che settimanalmente rendono nota all'ufficiale medesimo, di quanti sono stati visti arrecare danni sia manualmente sia con animali. I rei devono sì sottostare alle pene dei capitoli, ma se il padrone della possessione lo preferisce, ha la facoltà di non fare pagare i danni subiti. I guardiani sono responsabili del proprio operato di fronte ai priori; questi ultimi possono infliggere loro pene arbitrarie qualora manchino ai loro doveri. Per il reato di danno dato, compiuto personalmente o con animali, si procede per inquisizione o accusa sia da parte dell'ufficiale che per istanza del padrone del fondo (o di chi ha interessi nel fondo, quali "cottimaroli", concessionari, lavoratori). Il padrone del fondo, benché lo abbia locato o "accottimato" può fare l'accusa con il consenso e la presenza del proprio "cottimarolo" o dell'affittuario. Nell'accusa deve essere specificato il luogo e il tempo del reato; l'ufficiale dal canto suo deve esaminare i testimoni con giuramento purché non siano oltre dieci. Gli accusati devono sottostare alle pene con cui vengono condannati; solo il padrone del fondo può far si che ciò non avvenga qualora li abbia estratti dalla pena nel tempo che sarà formata l'inquisizione. Tuttavia il padrone non può estrarli oltre il numero di tre. Si prevede la possibilità di fare appello ovvero "richiamarsi" dalle "pronunce", decreti e sentenze del detto officiale. Le appellazioni devono essere interposte, tramite supplica scritta, davanti ai priori o altra persona o ufficiale deputata per iscritto dagli stessi priori.
    L'appellazione fatta diversamente sarà nulla e invalidata ed i decreti e le sentenze verranno eseguiti; inoltre colui che altrimenti appellerà sia obbligato, "rifar tutti li danni, spese, et interessi con quello contro cui fosse interposta detta appellatione potesse patire". All'ufficiale è proibito accettare donativi nello svolgimento delle sue funzioni. I Priori hanno il compito di comporre le pene eccedenti la somma di uno scudo per ogni singolo caso e di ridurre di 3/4 le pene, eccetto quelle inflitte per danni studiosi e manuali; l'ufficiale può comporre pene che non superano uno scudo per ogni singolo caso ma non gli è lecito fare grazia per oltre i 3/4 della pena inflitta dai priori. Una netta distinzione viene fatta tra i danni dati, commessi sia manualmente che con animali, a seconda che avvengano in luoghi "riserrati" oppure in luoghi non "riserrati"; nel primo caso le pene pecuniarie, che spesso sono innumerabili, sono assai più elevate che non nel secondo caso. L'accusato può indurre due testimoni a riprova che il luogo in questione non è "riserrato", i quali sono esaminati sommariamente senza citare la parte che ha fatto accusa o inquisizione. Per quanto riguarda il procedimento dell'accusa esso può avvenire anche a vista. Infatti, chi padrone, lavoratore, o altra persona giura di aver visto uomini o animali danneggiare i propri beni, deve essere creduto; l'accusa a vista deve essere sporta entro otto giorni dal danno ricevuto e va specificato il giorno, il mese, l'anno, nonché la qualità del danno; nello stesso atto non si può fare più di un'accusa contro la medesima persona. L'accusato dal canto suo può provare il contrario tramite testimoni e "ispetione". Per il falso accusatore la pena è di uno scudo. Disposizioni assai dettagliate si trovano in merito al pegno che può essere tolto dal padrone del fondo (o lavoratore "cottimarolo" o altri) al reo sorpreso ad arrecare danno sia manualmente che con bestie; nel togliere il detto pegno non si incorre in alcuna pena. Il pegno deve essere, nel termine di tre giorni, portato all'ufficiale. Il danno dante non potendo provare la sua innocenza è costretto a pagare il danno. Il pegno "deve essere nel termine di tre giorni portato all'officiale o restituito al padrone; in caso contrario chi ha tolto soggiace a pena pecuniaria. Il danno dante deve dare il pegno né può ritoglierlo, neanche si trattasse di bestie che vengono portate da padrone delle possessioni nell'hosteria. Il danno dante può sporgere querela o accusa in Rocca contro colui che ha ricevuto il danno, accusandolo di aver fatto violenza; ma se non può provare detta querela, il danno dante deve pagare la cassatura e risarcire l'accusato. Tuttavia il danno dante può dare, al padrone della possessione, un pegno conveniente invece dell'animali, trovati a far danno. Chiunque, uomo o donna, di anni 10 può fare giuramento a vista in tutti i casi di danni dati anche i minori di 8 anni soggiacciono alle pene se accusati di danni dati; nel togliere il detto pegno non si incorre in alcuna pena. Il pegno deve essere, nel termine di tre giorni, portato all'ufficiale. Il danno dante non potendo provare la sua innocenza è costretto a pagare il danno. Il pegno deve essere nel termine di tre giorni portato all'officiale o restituito al padrone; in caso contrario chi ha tolto soggiace a pena pecuniaria. Il danno dante deve dare il pegno ne può ritoglierlo, neanche si trattasse di bestie che vengono portate da padrone delle possessioni nell'hosteria. Il danno dante può sporgere querela o accusa in Rocca contro colui che ha ricevuto il danno, accusandolo di aver fatto violenza; ma se non può provare detta querela, il danno dante deve pagare la cassatura e risarcire l'accusato. Tuttavia il danno dante può dare, al padrone della possessione, un pegno conveniente invece dell'animali, trovati a far danno. Chiunque, uomo o donna, di anni 10 può fare giuramento a vista in tutti i casi di danni dati anche i minori di 8 anni soggiacciono alle pene se accusati di danni dati. Colui che giura sotto esame di non aver visto i danni danti, allorché si prova il contrario soggiace a pena pecuniaria (si può provare con due testimoni o solo con uno degno di fede); i testimoni hanno l'obbligo, essendo citati, di comparire entro tre giorni, qualora, pur presentandosi non trova l'officiale, deve comparire avanti al cancelliere delli Signori Priora. Nel caso in cui ci sono più persone accusate o trovate a, far danno, l'accusato che ha pagato, cosicché tutti gli altri sono stati liberati, può procedere contro tutti gli altri danni danti accusati poi liberati. In tal caso il padrone della possessione è tenuto a cedergli l'inquisitione già fatta e facoltà di poterla fare di nuovo. Il padrone della possessione, se ha subito nei suoi beni danno dato ad opera di ignoti, può far stimare il danno da dui uomini degni di fede e trovato il danno dante quest'ultimo deve pagare la stima del danno che deve esser fatta da uno estimatore eletto dall'officiale; il reo deve essere fatto citare dal padrone della possessione, di fronte all'officiale. Qualche garanzia è data ai rei dal momento che per provare il danno è sufficiente il detto di un testimone degno di fede con il giuramento dell'accusato inquisito di danni dati manuali o con bestie. I rei sono così tenuti al danno e nella pena solo per il danno per il quale sono stati accusati e non per altri commessi sulla medesima possessione". Fin qui le pene previste sono state solo pecuniarie, ma qualora il danno dato è fatto intenzionalmente, ossia è "studioso", sono previste pene corporali ad arbitrio dei priori.

    (1). J. SPIZZICHINO, Magistrature dello Stato Pontificio (470-1870), Lanciano, Giuseppe Carabba Editore, pp. 195-205.
    (2). L. LONDEI, Confini e circoscrizioni dell'Umbria dall'Antico Regime all'Unificazione nazionale, [ "Archivi in Valle Umbra", Rivista semestrale di Archivistica, II, n. 2, (dicembre 2000)], Bastia Umbra 2000, p. 95.


  • Redazione e revisione:
    Foglietta Silvia, 01/01/2005, insermento in Sesamo 4.1. / Proietti Sascha Manuel, 01/01/2005, insermento in Sesamo 4.1. / Pernini Dalia, 31/12/1999, ordinamento e inventariazione