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Ospedale psichiatrico di Parma, Colorno (Parma), 1819 - 1996

  • Ente
  • Estremi cronologici: 1819 - 1978
  • Intestazioni:
    Ospedale psichiatrico di Parma, Colorno (Parma), 1819 - 1996
  • Altre denominazioni: Ospedale psichiatrico di Parma / Ospedale psichiatrico provinciale di Parma in Colorno
  • L'identificazione di luoghi appositi atti al ricovero ed alla cura degli infermi di mente negli ex ducati di Parma e Piacenza non va oltre la seconda metà del XVIII secolo.
    Nella raccolta degli Statuti parmensi del XIII e XIV secolo, che costituiscono il codice di diritto pubblico e privato emanato dai comuni, pur essendo una preziosa fonte che raccoglie le più varie disposizioni relative alla sicurezza pubblica, all'ordine sanitario, giudiziario ed amministrativo, non vi è alcun cenno ai mentecatti o agli alienati mentali (1) .
    Sebbene siano presenti, dentro e fuori dalla città, numerosi piccoli ospedali, nessuno di questi è destinato al ricovero dei mentecatti; anche se è plausibile che qualche pazzerello abbia trovato ricovero in qualcuno di questi ospizi.
    Le condizioni degli infermi di mente rimangono sostanzialmente immutate anche durante il governo dei Farnese (2) ; nelle fonti documentarie di questo periodo, fra cui gli Statuti e gli Ordini dell'Ospedale della Misericordia, non vi è nulla che si riferisca ai mentecatti, nemmeno nei capitoli riguardanti l'accettazione degli infermi.
    Da un carteggio conservato presso l'Archivio di Stato di Parma, indirizzato ai Presidenti dell'Ospedale della Misericordia, risulta che, di tanto in tanto, qualche pazzo veniva mandato all'ospedale per esservi accolto, ma quasi sempre veniva respinto perché il Pio Istituto si trovava nell'impossibilità di ricoverare questo genere di infermi.
    Nel periodo del governo a Parma dei primi Borboni (3) , compreso il breve intervallo del dominio austriaco (4) , non si riscontra nulla che indichi un mutamento nelle condizioni degli infermi di mente.
    E' solo a partire dalla seconda metà del Settecento che i mentecatti trovano ricovero in locali espressamente a loro adibiti, generalmente vengono riuniti in vecchi edifici disadattati e malsani, spesso assieme ad altri ammalati affetti da malattie ritenute inguaribili, chiusi in camere oscure, su giacigli di paglia, legati con catene infisse ai muri.
    Nell'ultimo decennio del Settecento inizia nel ducato parmense l'assistenza per questo genere di infermi. Questo periodo è caratterizzato dalle riforme amministrative attuate dal ministro Guglielmo Du Tillot.
    In un documento anonimo, datato 17 marzo 1762, ma redatto sotto il ducato di Filippo di Borbone, in pieno clima riformistico, si trova una breve, ma chiara esposizione dello stato in cui allora versavano gli alienati e dei provvedimenti relativi ritenuti indispensabili.
    In esso si dice che a Parma, mentre si erano costruiti molti ospedali, si era dimenticato di fondarne uno, non meno necessario, a sollievo dei poveri pazzi, i quali erano costretti a stare rinchiusi nelle case dei propri parenti o abbandonati sulle pubbliche vie con grave danno e scandalo della pubblica quiete e moralità.
    Soltanto nel 1793, anche in seguito alle sempre più numerose suppliche per l'accettazione di ammalati di mente nell'Ospedale della Misericordia, si decide di adattare a ricovero dei pazzi una casa di proprietà dell'ospedale della Misericordia, situata in strada Santa Croce (attuale via D'Azeglio) di fronte all'Ospedale medesimo. Si tratta di poche e piccole stanze, prive di aria e di luce, dove i ricoverati, legati su letti di legno e nutriti degli avanzi del cibo somministrato agli ammalati dell'Ospedale e quasi mai visitati dai medici, finiscono quasi sempre per morire di scorbuto.
    Questa situazione non muta per tutto il periodo del governo francese, dalla morte di Don Ferdinando di Borbone (1802) fino all'avvento della Duchessa Maria Luigia d'Austria (1814).
    Sotto il governo napoleonico, tuttavia, prende corpo l'idea di trasportare il ricovero dei pazzi nel soppresso convento dei Minimi, detto di San Francesco di Paola, sito sulla stessa strada di Santa Croce a poca distanza dall'Ospedale della Misericordia.
    Dal punto di vista delle disposizioni normative, però, non sono cambiate di molto le considerazioni nei riguardi dei malati di mente; ancora nel 1815, nella Raccolta generale delle leggi per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla, non esistono leggi speciali, disposizioni o consuetudini che considerino gli alienati come infermi bisognevoli di cure e di soccorso. Gli stessi nuovi regolamenti emessi dal governo francese per l'Ospedale della Misericordia poco differiscono in proposito dalle vecchie costituzioni borboniche (Regolamento Organico dello Spedale della Misericordia, 11 febbraio 1808).
    Durante il governo di Maria Luigia, dal 1814 al 1847, si realizzano finalmente alcuni miglioramenti delle condizioni dei mentecatti nel ducato parmense: primo fra tutti la creazione di un nuovo manicomio.
    Per la prima volta a Parma lo Stato provvede con opportune disposizioni ed istituzioni a quella categoria di infermi e, per la prima volta, il problema dell'assistenza dei pazzi, finalmente visto e compreso con intelligenza e umanità, viene trattato con chiarezza di intenti e risolto in modo abbastanza adeguato alle esigenze tecniche dell'epoca.
    Il 14 febbraio 1818 Maria Luigia delibera di nominare una Commissione per individuare il luogo più idoneo in cui collocare il manicomio e la scelta cade sull'ex convento di San Francesco di Paola, situato in strada Santa Croce.
    Il 18 giugno1818 Maria Luigia approva il progetto di stabilire uno spedale pei pazzi nel già convento di San Francesco ed affida il progetto di esecuzione delle opere di adattamento della struttura all'architetto Giuseppe Cocconcelli.
    Il 9 settembre 1819 viene emanato il Regolamento per l'Ospedale di San Francesco di Paola, nel quale si dettano le norme, semplici ed umane, circa l'amministrazione, la cura e l'assistenza degli ammalati di mente.
    Il nuovo Manicomio viene aperto il 10 settembre 1819 e già ai primi di ottobre Maria Luigia invia il dottor Gaetano Bucella presso il Manicomio di Aversa, affinché apprenda dal Linguiti le norme più moderne di psichiatria e di tecnica manicomiale. Quando nel 1821 il Bucella muore a Napoli, viene subito sostituito nel suo compito di apprendistato da Francesco Ramolini che presenta un'ampia relazione su quanto aveva visto ed appreso a Napoli.
    Nel decreto del 29 aprile 1822 Maria Luigia definisce il nuovo ospedale di San Francesco di Paola Spedale centrale pei pazzerelli di tutti i nostri Stati e dispone che a tal fine venga ampliato, fino a contenere 90 infermi.
    Nel corso degli anni, tuttavia, il numero dei ricoverati aumenta e l'Ospedale di San Francesco di Paola, a poco dopo più di dieci anni dalla sua creazione, si rivela insufficiente e disadatto ai fini per cui era stato istituito entrando così prima in un periodo di arresto e successivamente di decadenza.
    Da quegli anni in avanti, infatti, è un susseguirsi di perizie e lavori iniziati e mai compiuti, deliberazioni prese e sospese, infinite proposte, commissioni, studi, ripieghi provvisori e piccoli provvedimenti.
    Fra il 1830 e il 1831 diverse perizie vengono presentate per una radicale sistemazione e ampliamento del manicomio, da quella di Bettoli a quelle di Menoni e Montacchini.
    I lavori di ampliamento iniziano e si protraggono fino al 1837 quando il professore Salvatore Riva, divenuto l'anno prima direttore del Manicomio, presenta una relazione contraria alla progettata sistemazione dell'istituto.
    Riva, infatti, ritiene che l'Ospedale di San Francesco di Paola sia il meno adatto alla cura degli infermi di mente.
    Nel 1840 Maria Luigia ordina la sospensione dei lavori progettati dal Montacchini e incarica il presidente delle Finanze di presentare un disegno e una perizia dell'ospedale dei pazzerelli tutto nuovo; al contempo stabilisce che vengano eseguite provvisoriamente le riparazioni che il Bettoli aveva descritto e stimato nelle sue perizie.
    Nel 1847, dal momento che le cose non procedono e l'idea del manicomio nuovo si va spegnendo, Riva presenta un progetto di urgente miglioramento che consiste nell'attivare quattro sale, esistenti già dal 1835, costituenti il nuovo corpo di fabbrica incominciato sulla perizia di Montacchini.
    Viene dunque abbandonata l'idea di costruire un manicomio ex novo e richiesto un ulteriore sopralluogo per stabilire i lavori più urgenti da fare e stendere la relativa perizia da sottoporre all'approvazione sovrana.
    Gli anni passano e la questione del manicomio riamane insoluta, nel 1847 muore Maria Luigia; dopo di lei vengono i secondi Borboni (5) .
    In questo breve periodo le condizioni dell'Ospedale di San Francesco non mutano; anzi, di fronte al sempre più crescente numero dei pazzi, ai progressi della tecnica e alle esigenze dei tempi, il manicomio diviene talmente insufficiente e disadatto allo scopo che il 15 settembre 1854 il Dipartimento dell'Interno, dietro proposta del Consiglio degli Ospizi Civili, ne ordina la temporanea chiusura.
    All'annessione del ducato parmense al Regno d'Italia, la sorte del manicomio passa alle dipendenze dell'Amministrazione Provinciale di Parma in virtù della legge del 20 marzo 1865 per l'unificazione amministrativa del Regno, con la quale si obbliga ciascuna provincia dello Stato a provvedere all'assistenza e alla cura dei rispettivi mentecatti poveri.
    Così, l'Ospedale di San Francesco diventa il Manicomio della Provincia di Parma. La nuova amministrazione eredita anche l'annoso problema manicomiale che diventa sempre più preoccupante e necessariamente deve pensare al modo in cui risolverlo.
    Inizialmente si pensa di ricoverare gli ammalati nel vicino Manicomio di Reggio, nel 1865 iniziano le pratiche opportune per il trasferimento, ma in breve vanno a vuoto.
    Nello stesso periodo viene nominata una Commissione, presieduta da Riva, affinché valuti la possibilità di adibire a manicomio il palazzo ducale di Colorno, che nel frattempo era passato al demanio, e le sue adiacenze. Il parere del Riva è negativo, ma favorevole è quello di tutti gli altri componenti della Commissione.
    Il 16 aprile 1868 viene nominata una seconda Commissione, presieduta dal professor Ughi, per valutare l'adattabilità della villa ducale di Sala Baganza o rivedere i giudizi su Colorno. Le conclusioni della Commissione sono sia di scartare l'idea di costruire un manicomio ex novo, impresa superiore ai mezzi finanziari della Provincia, sia ampliare l'Ospedale di San Francesco, sia associarsi al manicomio di Reggio, perché già troppo affollato. Anche il progetto della riduzione della villa ducale di Sala Baganza risulta eccessivamente oneroso; quindi, si riprende in considerazione il progetto di riadattamento del palazzo di Colorno come il più economico. Il progetto viene affidato all'architetto Castelli, coadiuvato dal dottor Monti. Dal 1868 al 1873 si susseguono diverse commissioni di studio per risolvere il problema manicomiale, ma ogni volta le relazioni, le perizie ed i preventivi, non sono risolutivi.
    Malgrado il parere negativo espresso da più parti, compresi i clinici dell'Università, tra cui il professor Inzani e malgrado il susseguirsi di vari studi, l'epidemia di colera scoppiata a Parma nel 1873 costringe gli amministratori a trasferire i pazzi nell'ex palazzo ducale di Colorno e nell'ex convento di San Domenico ad esso attiguo.
    Avrebbe dovuto essere una soluzione temporanea, ma nella seduta del 5 settembre 1877 il Consiglio provinciale delibera che l'ex palazzo ducale, e l'annesso ex convento dei Domenicani, siano definitivamente adibiti a manicomio provinciale, anche se da più parti si segnala l'inadeguatezza dei locali.
    E così, dopo quarant'anni di progetti, di perizie e di studi, un'epidemia di colera risolve il problema manicomiale nella provincia di Parma.
    Il manicomio di Colorno (6) differisce nella sostanza da San Francesco di Paola per la maggiore quantità e capacità dei locali; ma proprio per questo si rendono necessari numerosi lavori di adattamento. Durante gli anni, infatti, diversi interventi vengono realizzati sulla sua struttura; all'inizio del Novecento la questione del manicomio si impone in maniera così impellente da richiedere un immediato ed energico intervento.
    E' ancora un susseguirsi di commissioni, anche in questo caso vengono presentate molte perizie relative agli interventi da effettuarsi sul manicomio, ma tutte giudicate troppo onerose per la Provincia.
    Nel frattempo, nel 1904, esce la legge dello Stato sui manicomi e sugli alienati seguita dal relativo regolamento, recante disposizioni che evidenziano sempre più l'inadeguatezza del Manicomio di Colorno.
    Mentre gli anni passano, la scienza e la tecnica psichiatrica progrediscono, cresce la necessità di intervenire per la custodia e la cura degli ammalati di mente, si creano nuovi ospedali e sorgono nuove forme di assistenza ospedaliera; ma la realtà della provincia di Parma non muta.
    Di nuovo le commissioni si succedono le une alle altre per proporre soluzioni più consone al problema manicomiale; come nel 1915 quella dell'acquisto di un podere ad Antognano di Vigatto, alle porte di Parma, per costruirvi ex novo l' ospedale che, nelle intenzioni degli amministratori, avrebbe dovuto essere la soluzione ideale per l'assistenza e la cura dei malati di mente; ma la guerra prima, e la vendita del podere poi nel 1923, impediscono ancora una volta di trovare una soluzione.
    Neppure la costituzione a Parma, nel 1927, della Regia Clinica Neuropsichiatrica, a seguito delle nuove leggi sull'insegnamento universitario, giova alla situazione manicomiale; con la convenzione tra l'amministrazione dell'Ospedale Civile, quella della Provincia e l'Università viene di fatto risolto il problema dell'insegnamento della neuropsichiatria, ma non quello dell'assistenza e della cura degli infermi di mente della provincia. La struttura della clinica, infatti, può ospitare al massimo quaranta malati, un numero irrisorio a fronte degli ottocento ricoverati nel manicomio di Colorno.
    Questa soluzione che sembrava risolutiva, nel 1936 fallisce miseramente e la convenzione viene sciolta.
    Nelle relazioni dei direttori Catalano e Tomasi, rispettivamente del 1937 e del 1955, costituenti una sorta di denuncia di una situazione disumana, sono nuovamente evidenziate le gravi carenze tecniche, strutturali ed ambientali dell'Ospedale Psichiatrico.
    Solo alla metà degli anni Sessanta, nel panorama del nascente movimento anti-istituzionale, inizia a Colorno quel periodo fondamentale che ne segna profondamente la vicenda.
    E' il momento in cui l'Ospedale Psichiatrico ha maggiore visibilità ed esprime il legame più stretto con i grandi processi politici e culturali che avrebbero poi cambiato il volto della psichiatria italiana. Colorno,infatti, è una delle realtà di riferimento, insieme a Perugia, Arezzo e Gorizia.
    Sul finire degli anni Sessanta inizia a Parma un ampio dibattito sul problema della psichiatria che mette in rilievo il carattere segregante e discriminatorio delle risposte che venivano tradizionalmente fornite alle persone sofferenti. Il dibattito continua negli anni successivi, superando in positivo il momento della denuncia e della lotta anti-istituzionale, e ponendosi come obiettivo l'individuazione e la creazione di servizi e soluzioni alternative all'emarginazione manicomiale.
    L'occupazione dell'Ospedale Psichiatrico nel 1969 coinvolge infermieri, medici, degenti, familiari e la stessa Amministrazione provinciale che concorrono alla trasformazione di una istituzione obsoleta e inumana in un vero e proprio luogo di cura e di assistenza. Sempre nel 1969, giunge a Parma, a dirigere l'Ospedale Psichiatrico Franco Basaglia, che rimane a Colorno fino al 1971.
    I cambiamenti avvengono gradualmente nel corso degli anni Settanta con l'avviamento della deistituzionalizzazione degli internati, la realizzazione di un servizio decentrato, diffuso capillarmente sul territorio, fino alla riforma sanitaria del 1978, che, con la legge n.180, comporta il passaggio, durante la direzione di Ferruccio Giacanelli, della gestione dell'Ospedale Psichiatrico di Colorno dall'Amministrazione provinciale all'Unità Sanitaria Locale.

    (1): Solo negli Statuti della città di Parma, pubblicati il 12 giugno 1494, nel libro secondo, si legge una breve disposizione intorno ai mentecatti mentecapti, furiosi et similes, ma è di carattere puramente civile.
    (2): 1545-1731
    (3): 1731- 1802
    (4): 1736-1748
    (5): 1847-1859
    (6): I fabbricati di Colorno sono costituiti dall'ex Palazzo Ducale e da altri locali adiacenti, di cui il principale è l'ex Convento dei Domenicani. Non tutti furono adibiti a manicomio; quelli in coda al palazzo, costruiti da Ranuccio II e da Francesco Farnese nella seconda metà del Seicento e nella prima del Settecento e che servivano per i servizi generali di corte, vengono occupati dalla sezione donne. Il Convento dei Domenicani, costruito da Ferdinando di Borbone nella seconda metà del secolo XVIII, viene occupato dalla sezione uomini e dagli uffici amministrativi della Direzione. Il Convento, che forma il corpo maggiore del Manicomio, viene soppresso dal governo francese al principio del secolo XIX e destinato poi da Maria Luigia ad essere la sede della scuola militare dei ducati, che dura per tutto il dominio dei Borboni. Poco dopo il 1860 viene dal governo italiano a scuola militare normale di fanteria, fino a quando viene acquistato dall'Amministrazione provinciale.
  • Redazione e revisione:
    L'Episcopo Laura, 31/12/2005, Riordinamento ed inventariazione / Manzini Franca, 31/12/2005, Riordinamento ed inventariazione
  • Bibliografia:
    Catalano A., L'Ospedale Psichiatrico Provinciale di Parma dal 1931 al 1947 ed il problema dell'organizzazione Psichiatrica della Provincia di Parma, in "Rassegna di Studi Psichiatrici,". Siena, 1947, vol. XXXVI
    Moreni M., Storia dell'Ospedale Psichiatrico di Colorno, in Contegiacomo M. e Tognolo E. (a cura di), "L'alienazione mentale nella memoria storica e nelle politiche sociali. Chisà che metira fuori un calcheduni da sto manicomio ", Minelliana, Rovigo, 2004
    Paoletti I., Studi e ricerche Sulla medicina nel Ducato di Parma all'epoca di Maria Luigia, in "Aurea Parma", XLVI (1962)
    Parente M., "Relazione sullo stato attuale dell'Archivio dell'Ospedale Psichiatrico di Colorno", relazione dattiloscritta presentata a Napoli, 1991
    Tomasi L., L'Ospedale Psichiatrico Provinciale dal 1948 al 1955. Relazione del Prof. Luigi Tomasi -Direttore- all'On.le Giunta Provinciale, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Parma, Parma, 1956
    Ugolotti F., L 'assistenza degli alienati e i loro ospedali di ricovero in quel di Parma, in "Note e riviste di psichiatria", a. LXll (1933), nn. 1-2