Altre denominazioni:
Ospedale neuropsichiatrico provinciale di Macerata
/ Manicomio provinciale di Santa Croce
[ In seguito all'unificazione di Italia e al passaggio dei territori dello Stato della Chiesa al Regno di Italia cambia la denominazione del manicomio in Manicomio provinciale di Santa Croce. Infatti in base alla legge sull'unificazione amministrativa del Regno, la Deputazione provinciale aveva l'onere di mantenere la cura dei mentecatti poveri della provincia all'interno degli ospizi in base alla legge n. 2248 del 20 marzo 1865. ] / Ospedale psichiatrico provinciale
[ Dal 1944 circa, come risulta dalle cartelle cliniche, l'intestazione del Manicomio provinciale di Macerata muta in Ospedale psichiatrico provinciale di Macerata, per poi divenire, a partire dal 1950, Ospedale neuropsichiatrico provinciale di Macerata. ]
Le istituzioni manicomiali a Macerata dai primi ospizi al Manicomio di Santa Croce.
Intorno alla fine del '700 si iniziarono ad istituire i primi ospizi per malati di mente in Italia. Nella stessa Macerata il primo venne costruito presso il rione di Porta Castellana, nel torrione delle mura castellane (l'attuale porta S. Giuliano) e venne denominato "Carcere de'Pazzi". Ristrutturato nel 1771 dal Comune, venne utilizzato come ricovero fino all'inizio del secolo successivo. Nel 1808, venne individuata una nuova sede presso la chiesa delle monache domenicane del Corpus Domini, in Via Armaroli, nel centro storico della città e il vecchio ospizio fu abbattuto nel 1817. Anche questa sede si dimostrò provvisoria e non idonea alla sua funzione: la centralità della struttura e le relative problematiche per l'ordine pubblico insieme alla pressione delle monache per vedersi restituiti il convento e la chiesa fece si che l'Autorità ecclesiastica tramite un'istanza del 1818 ricedesse all'ordine domenicano la struttura, riaprendo i termini dell'annosa questione relativa alla scelta di una adeguata dimora per la custodia degli alienati.
Con l'interessamento del mons. Benedetto Cappelletti - delegato apostolico e fondatore degli ospizi di Macerata e Pesaro - venne individuata una nuova alternativa nell'ex fabbrica di cera, di proprietà dei fratelli Pietro e Settimio Romani, situata nel quartiere "Cocolla", precedentemente adibito a ricovero per le prostitute, gli albanesi e in ultimo a sifilicomio, confermando l'infelice destinazione d'uso di questo stabile ai reietti della società. Vennero eseguiti i primi lavori di ampliamento a partire dal 1822, data la ristrettezza dei locali.
Nonostante le condizioni piuttosto fatiscenti, nel 1826 la Delegazione apostolica acquistò la cereria, fino ad allora concessa in affitto (1). Negli anni successivi vennero acquistati edifici e terreni adiacenti necessari all'ampliamento dell'Ospizio e i lavori terminarono nel 1834: questa struttura fu la prima nelle Marche ad essere acquistata e ristrutturata specificatamente al fine di ospitare i "pazzi", al contrario di quanto avveniva solitamente mutuando spazi da conventi, chiese e ospedali civili (2). Le spese furono ripartite tra i Comuni della Delegazione in base agli abitanti di ogni Comune, proporzione che determinò il maggior onere per la città di Macerata. Questo proto-manicomio era disciplinato da un regolamento interno emanato nel gennaio del 1826 dal Mons. Spinola, nel frattempo succeduto al Cappelletti.
Nel decennio a seguire il sovraffollamento causato da ricoveri impropri e dalla sedimentazione dei pazienti cronici, in concomitanza con difficoltà tecniche di gestione da parte della Delegazione, portò a un progressivo peggioramento della situazione. Fin dal 1840, infatti, il Consiglio provinciale si dibatteva tra due posizioni contrastanti: ampliare il vecchio ospizio o costruire una struttura ex novo adibita specificatamente a manicomio.
Il degrado della struttura e il pronunciamento negativo del Governo a ristrutturare il vecchio stabile costrinsero la Deputazione provinciale a dare il via alla progettazione di un nuovo edificio: il progetto venne affidato all'ingegnere provinciale Camillo Prosperi e presentato nel 1852. Negli anni a seguire venne integrato dalle preziose indicazioni del dott. Giovanni Gualandi (noto psichiatra del tempo e direttore del Manicomio di Santa Maria della Pietà di Roma che era stato costruito proprio in quegli anni).
A ritardare la realizzazione dell'opera sorsero animate discussioni sulla scelta della località. Su consiglio della Facoltà medico-chirurgica dell'Università maceratese, che era stata interpellata appositamente nel 1843, era stato acquistato il fondo del Marchese Ricci, localizzato fuori Porton Pio (presso l'attuale Stadio dei Pini) e nel 1859 si iniziarono i primi lavori di fondazione. Nell'aprile del 1861 il cantiere venne bloccato in seguito alla richiesta del Comune di allocare il manicomio presso il convento cinquecentesco dei Padri Osservanti di S. Croce. Tale cambiamento di sede era stato determinato dai recenti eventi politici che avevano annesso le Marche al Regno D'Italia.
Nel nuovo contesto amministrativo, sulla scorta della legge "Rattazzi" del 1855, venne emanato un editto per la soppressione di tutti gli ordini religiosi del territorio regionale e il passaggio dei loro beni alla Cassa ecclesiastica dello Stato che li avrebbe trasferiti alle Pubbliche amministrazioni (3). Il 16 gennaio 1861 si recò a S. Croce il Dott. Antonio Garampi, delegato demaniale e alla presenza dei testimoni Francesco Gallozzi e Vincenzo Pelatelli e del guardiano Padre Stanislao da Casteldemilio procedette alla presa di possesso degli stabili e dei mobili, dei quali fu redatto un rigoroso inventario. Su pressioni del sindaco di Macerata avvenne la permuta dei fondi acquistati dalla Provincia (quello presso Portone Pio e il vecchio ospizio della "Cocolla") con il convento divenuto di proprietà del Comune con l'entrata in vigore dell'editto. Questa pratica richiese più tempo del previsto a causa delle pratiche di indennità a favore dei religiosi che dovevano trasferirsi presso il convento di San Domenico e solamente il 13 dicembre 1862 si concluse la permuta con un atto ufficiale.
Intanto il 31 maggio del 1861 lo stesso ing. Camillo Prosperi presentò un nuovo progetto, adattando il precedente alla nuova destinazione e tentando di riutilizzare il fabbricato esistente per quanto possibile, anche se il convento fu per la maggior parte demolito, fatta eccezione per il lato del chiostro che faceva corpo con la chiesa di Santa Croce.
La Deputazione provinciale affidò la direzione dei lavori agli ingegneri Domenico Mariotti e Virginio Tombolini, che il 4 maggio 1863 consegnarono il cantiere all'appaltatore Francesco Belli. Nel 1864 si diede il via ai lavori con un livellamento del terreno e la demolizione della massima parte del vecchio fabbricato conventuale, lavori che continuarono per i tre anni successivi fino all'inaugurazione della nuova struttura il 1 luglio 1871 (4).
A presenziare il discorso inaugurale venne chiamato il professor Giuseppe Girolami: egli presentava questa struttura come uno dei primi esempi di edifici specialistici per malattie mentali costruiti in Italia, che sarebbe divenuto un modello negli anni a seguire. Lo stesso Girolami era stato consultato per un ulteriore parere riguardo all'opera architettonica (5), al fine di rendere l'architettura dell'edificio funzionale agli scopi terapeutici dell'istituto e di redigere una serie di norme regolatrici per l'avvio della struttura .
Tuttavia all'epoca dell'inaugurazione, alcuni dei lavori non erano stati portati ancora a termine, come i due Casini per i pensionari, il Chiarugi e il Pinel (in seguito dedicato al Dottor Enrico Morselli) la facciata della chiesa e il muro di cinta sul lato ovest. La struttura si ampliò progressivamente nell'arco degli anni a seguire, in ragione del numero dei ricoveri sempre maggiore e le necessità di assicurare un livello standard di servizi ai ricoverati.
Il nuovo Manicomio di Macerata veniva descritto dettagliatamente: "Il fabbricato principale misura nella sua lunghezza da nord a sud metri 137.5 ed in quella trasversale dall'est all'ovest metri 72.70. Si compone di tre avancorpi elevati a due piani sopra quello terreno congiunti a due bracci che hanno un sol piano superiore. Posteriormente all'avancorpo centrale protendonsi altri due bracci trasversali terminati all'estremo con un semicerchio. Nella parte posteriore il parco ha un'estensione molto maggiore, suddivisa in bosco ad alto fusto e in prati. Da un lato del bosco trovansi la neviera sormontata da un artificiale monticello, che rivestito per intero da piante sempre verdi, la difendono dagli ardori dell'estiva stagione. Lo stabilimento è tutto chiuso da mura di cinta non molto elevate. […]L'architettura del fabbricato principale è modestissima, essendo stati obbligati di conservare una parte sebbene piccolissima del vecchio fabbricato. L'avancorpo del centro sopra un alto zoccolo bugnato ha sei pilastri di ordine jonico. Tanto le porte esterne quanto le finestre sono guernite con stipite di pietra, e alcune di queste ultime sono abbellite da balaustre e ugualmente di travertino che servono al tempo stesso di ventilatori."
L'avancorpo centrale ospitava le abitazioni e gli uffici dei medici. I bracci e gli avancorpi estremi erano occupati dalle Sezioni uomini e donne. Nel pianterreno c'erano le sale di soggiorno, i refettori, le sale da bagno e i dormitori per i malati agitati; nel secondo piano si trovavano le sale di osservazione, le infermerie e i dormitori per i malati tranquilli.
Continua la descrizione del Girolami relativa ai due casini: "Nell'angolo sud-ovest e presso l'altro nord-ovest sorgono due casini congiunti alle mura di cinta con comunicazione interna nello stabilimento e con accesso libero all'esterno e del tutto indipendenti, destinati ai pensionari di ambo i sessi. Ciascuno di essi ha un piano superiore e soffitti abbastanza comodi per essere anche abitati… Il Casino delle Pensionarie (Padiglione Morselli) è foggiato all'esterno con architettura moresca ed ornati in terra cotta, alcuni dei quali smaltati. Contiene 52 vani di varia dimensione. Di questi quattro trovansi nel piano dei sotterranei. Vi sono in complesso nel piano superiore 15 camere da letto di diversa grandezza, 4 delle quali con anticamera libera, 2 salotti da lavoro, una sala di intrattenimento, un gabinetto da ricevere, una camera da pranzo, altra per bagni, un magazzino, 4 vani per guardaroba, e un cesso con tre camerini… In questo si possono ricoverare 16 malate, e trovansi 5 letti per inservienti. […] Il Casino dei Pensionari [Chiarugi] contiene 45 ambienti di diversa grandezza. Di questi 16 sono camere da letto e due hanno una separata anticameretta. Sonovi due salotti di intrattenimento, un gabinetto per ricevere, una sala da bigliardo, una camera per bagni, altra per pranzo, 4 vani per guardaroba e da sgombro, ed un magazzino ed un cesso con anticamera e due camerini. Così esso è capace di contenere 19 malati e 6 letti per inservienti da potersi anche aumentare all'uopo…".
Anche la facciata della chiesa di S. Croce, rimasta incompiuta, fece parte dei lavori. Venne inoltre costruito un portico lungo il fianco della chiesa, destinato alle passeggiate dei ricoverati uomini, e un refettorio al piano sovrastante che terminava con una terrazza (6). Il Girolami, nella sua descrizione, non manca di riferire a riguardo che "il fianco della chiesa di S. Croce, rivolto a mezzodì, presentavasi così informe e disaggradevole all'occhio, da far sorgere all'Ingegnere Direttore il pensiero di coprirlo con una fabbrica di svelta architettura la quale, mentre nascondeva l'anzidetta deformità, tornasse poi utile allo stabilimento aumentando i comodi ed i vantaggi di trattenere convenientemente gli alienati in molte ore del giorno.(7)" Tali lavori vennero autorizzati nel 1867 insieme alla realizzazione della portineria all'ingresso dello stabilimento.
Sono già presenti, ai tempi dell'inaugurazione, il fabbricato, adibito a cucina e i due piccoli edifici, ai fianchi della cancellata.Tutto l'impianto, edifici, percorsi pedonali e giardino, era diviso in due parti: la parte destra (nord) destinata agli uomini e la sinistra (sud) alle donne. Tutte le finestre erano adeguatamente protette da un'inferriata robusta, per garantire la sicurezza, forgiati con motivi vegetali e simmetrici per nascondere la reale funzione detentiva.
Il manicomio di Santa Croce
La direzione di questa nuova struttura manicomiale venne affidata al dott. Giovanni Tonino, già medico del manicomio torinese che tenne l'incarico fino al 1876. Dopo un internato di un mese coperto dal dott. Falleroni, la direzione passò nelle mani del direttore Enrico Morselli (8), medico del frenocomio di Reggio-Emilia e allievo e collaboratore del noto psichiatra Carlo Livi (9) .
Nel 1876 con la direzione del Morselli vennero applicate molte innovazioni e portati a termine progetti già avviati e al tempo non ancora conclusi. Egli si occupò soprattutto della divisione dei ricoverati all'interno della struttura secondo il loro stato mentale e la loro curabilità. Nel primo numero della "Gazzetta del Manicomio di Macerata" - periodico istituito e diretto dallo stesso Morselli nel 1878 - vi è una dettagliata descrizione di questo processo di "frazionamento" come base per il buon ordinamento del manicomio. Durante i primi anni di attività erano state disposte solamente due categorie, tranquilli e agitati (dato anche il numero esiguo delle persone ricoverate). Con gran dispendio di energie e di lavoro nell'arco di tre anni (1875-1878) vennero istituite cinque sezioni per le donne e sei per gli uomini, in ragione anche dell'accrescersi progressivo dei ricoverati che al 1878 avevano raggiunto quasi le 200 unità, insieme all'incremento del numero degli infermieri (10).
La ripartizione dei ricoverati all'interno della costruzione principale era così strutturata: gli Uomini si suddividevano in agitati, sudici e semiagitati, tranquilli non lavoratori, tranquilli lavoratori, pensionari (nel Casino Chiarugi), infermeria. Le Donne invece in agitate e sudice, semiagitate, tranquille, pensionarie, infermeria. Tali distinzioni verranno mantenute in linea di massima fino alla nuova riorganizzazione alla fine degli anni '60 basata su settori territoriali, che avrebbe distinto le varie sezioni interne dell'istituto sulla base della provenienza dei ricoverati.
Ogni sezione possedeva dormitori, sale di trattenimento, refettori. I laboratori, i refettori e le sale di trattenimento di tutti i malati erano disposti al pian terreno, i dormitori dei tranquilli al piano superiore e i dormitori dei sudici, epilettici e agitati al pian terreno per ovviare pericolosi inconvenienti, con a disposizione un'infermeria (11).
Questa distinzione in base allo stato di salute divenne funzionale all'organizzazione dell'attività interna: il Morselli fu uno dei più forti sostenitori e fautori dell'ergoterapia, ritenendo l'attività lavorativa un vero e proprio strumento terapeutico. Il Morselli ribadiva l'importanza di non lasciare inattivi gli alienati al fine di restituire le loro menti alla normalità, vedendo nell'ozio - sia del malati che del personale - la prima fonte di disordine ed ebbe modo di dimostrare nella pratica tale convinzione, con riscontri di certo positivi per l'organizzazione interna dell'istituto: nel 1878 ben il 65% dei malati era impegnato in attività varie.
Nella "Relazione sul manicomio di Macerata per gli anni 1877-1879" (12) inviata alla Deputazione provinciale, il direttore annotava che il numero dei malati lavoratori di Santa Croce fosse uno dei più notevoli tra gli istituti manicomiali del regno, con proporzioni non superate né eguagliate da nessun altro asilo italiano. Il direttore coinvolse direttamente il personale di sorveglianza per la formazione e lo sviluppo delle capacità artigianali dei ricoverati: seguendo l'insegnamento pratico dei sorveglianti, i malati imparavano un'attività e diventavano di vera utilità per lo stabilimento.
Ricorda ancora il Morselli come "le istituzioni a cui tengo maggiormente sia per i risultati avuti sia per la speciale loro natura sono tre: la colonia industriale Pinel, la colonia agricola Esquirol, la Villa di salute per pensionari. L'aumento continuo dei pazzi ha costretto ad estenderci fuori dell'edificio centrale fin dal 1877. I pensionari furono trasferiti al Casino Pinel e vi si formò l'alveare della nostra industria. Officine di falegnami, fabbro, ferrai, calzolai, pitttori e inverniciatori, … realizzazione di stuoie e zerbini". Il piano superiore venne allestito a dormitori. La colonia agricola Esquirol fu istituita nel 1878 per 20 pazzi tranquilli che si occupavano di orticoltura e agricoltura. La Villa Chiarugi fu destinata ai pensionari tranquilli di 1 e 2 classe e cinta da mura tutto intorno.
Al Morselli fece seguito nel 1880 il dott. Gianditimo Angelucci, già suo assistente, che resse la direzione dell'istituto per oltre un ventennio. In questi anni si sviluppò la parte posteriore del complesso, ampliando e incrementando quegli appositi luoghi di lavoro per i malati che erano stati tanto voluti e curati dal Morselli: la colonia agricola Esquirol, la colonia industriale e la lavanderia.
Nella "Relazione sul manicomio di Macerata"(13) inviata alla Deputazione provinciale relativa all'anno 1888, il direttore confermava l'indirizzo ergo terapico avviato dal suo predecessore. I malati durante la direzione dell'Angelucci erano organizzati in tranquilli, semitranquilli, agitati, sudici e pensionari, sulla scorta del frazionamento applicato dal Morselli e una larga schiera dei lavoratori era fornita dai tranquilli. La maggior parte degli alienati infatti erano contadini, che nella colonia agricola Esquirol potevano lavorare la terra con profitto personale in termini terapeutici, e economico per lo stabilimento.
Per quanto riguarda il vantaggio economico il lavoro dei malati divenne infatti fondamentale per lo svolgimento delle pulizie e dei lavori interni allo stabilimento, senza necessità di dover far riferimento a ulteriore personale esterno. Nella relazione del direttore veniva anche ricordato l'importante contributo degli alienati nel funzionamento della pompa per il rifornimento dell'acqua dal pozzo.
Un'attività introdotta dall'Angelucci fu la lavorazione della terracotta per creare vasellame piatti e oggetti vari la cui pratica non richiedeva l'utilizzo di strumenti rischiosi - a differenza di tutte le altre attività - ed era quindi adatta anche per i malati pericolosi (agitati e epilettici) sotto naturalmente la sorveglianza del personale addetto .
Per le attività dei calzolai, fabbri e ferrai si raggiunse una sorta di autonomia interna tanto che non era più necessario far riferimento ai mastri cittadini. Ugualmente dicasi per i lavori di tessitura, lavanderia e gestione del guardaroba, affidati alle ricoverate sotto il controllo dell'Ispettrice, con un riscontro positivo sul bilancio interno del manicomio(14).
Intanto per ovviare a problemi di distribuzione dei ricoverati, il casino Pinel venne destinato alle pensionarie donne, secondo il progetto originale e per la colonia industriale, lì insediata dal Morselli, venne proposta la costruzione di un nuovo edificio.
Tale progetto venne sviluppato alla fine del secolo, intorno al 1897: la nuova colonia industriale, poi intitolata a Cesare Lombroso, era un padiglione a 3 piani, capace di contenere 80 malati. I locali al pianoterra erano stati adattati a laboratori per attività varie: sartoria, falegnameria, lavorazione del ferro, calzoleria, la lavorazione di paglia e delle stuoie e la fabbrica delle reti metalliche e venne sistemato un refettorio e la sala di soggiorno. Ai piani superiori si trovavano i dormitori. All'esterno invece venne curato un giardino e una pista per il gioco delle bocce per l'intrattenimento dei ricoverati.
Oltre alle attività artigianali erano state predisposte una serie di attività collaterali per l'intrattenimento e lo svago: in inverno nella sala del teatro venivano fatte rappresentazioni teatrali, in estate invece i ricoverati avevano la possibilità di uscire a gruppi di cinque per la passeggiata esterna, al fine di sviluppare nell'ambiente esterno della società civile un'abitudine e un confronto con questi malati. Si era fatta disposizione nel regolamento riguardo la possibilità di visitare gli alienati da parte dei familiari previo consenso del direttore , anche se spesso questi risultavano abbandonati dalle famiglie e nelle lettere si può riscontrare le accorate richieste di visita fatte dai ricoverati per un supporto alla loro degenza, comunque costretta entro mura e cancelli.
La sorveglianza degli alienati era affidata al personale di custodia, diretto dall'Ispettore e dal vice-ispettore per il reparto maschile e dalla corrispettiva ispettrice e vice-ispettrice per il settore femminile. A loro era affidato il compito di fare un rapporto al direttore in un modulo a stampa relativamente al comportamento disciplinare degli alienati durante il turno precedente e coordinare il lavoro dei custodi, dei camerieri e del personale addetti ai servizi speciali. Nel regolamento venivano date indicazioni specifiche riguardo il comportamento da tenersi nei confronti degli alienati al fine di non aizzare contese interne ed evitare reazioni, e soprattutto cercare di creare un clima di fiducia e collaborazione, almeno nelle intenzioni. Una nota a parte è riservata alla tutela della dell'alienato e dei suoi familiari, vietando al personale di riferire i nomi di famiglia (15).
All'inizio del nuovo secolo il manicomio di Macerata raggiunse il massimo dello sviluppo, citato come modello a livello nazionale, citato in riviste specialistiche e convegni (16) per la sua organizzazione che seguiva una logica precisa e funzionale. In questi anni, allo stabilimento iniziale si aggiunse anche la Villa Montalbano, acquistata dall'Amministrazione provinciale per destinarla ai malati cronici, apatici, malpropri e clamorosi, dato l'accrescersi del numero dei ricoveri (17).
Nel frattempo al direttore Angelucci era succeduto il suo vice-direttore Arnaldo Pieraccini, assistito nell'incarico dal dott. Mario Umberto Masini. A partire dal 1908 divenne direttore il dott. Giovanni Esposito, che morì nel 1911 fulminato da una scossa elettrica mentre cercava di salvare due ricoverate investite dai cavi della corrente.
Durante il periodo del primo conflitto mondiale il direttore fu Luigi Lugiato che diresse l'istituto dal 1911 al 1921, assistito nelle sue funzioni dal dott. Alberto Ziveri. Furono anni caratterizzati da un alto numero di ricoveri, in conseguenza di trasferimenti da altri manicomi e in seguito ai danni apportati a livello mentale da larga parte della popolazione in seguito all'evento bellico.
Durante la direzione del dott. Gaetano Martini (1921-1944) il complesso si ingrandì ulteriormente per accogliere la crescente domanda di ricovero dei malati: furono realizzati con architettura pressoché simile i padiglioni Tanzi e Bianchi (18). A questo proposito si legge in un periodico relativo alle opere pubbliche: "Costruzione di tre nuovi padiglioni, determinata dall'aumento del numero di ricoverati, e dalla necessità di dare un più adeguato servizio e moderno orientamento, eliminando le deficienze verificatesi nell'organizzazione iniziale. Si tratta di tre vasti fabbricati, di semplice struttura, e costituiti di tutti i mezzi e conforti dell'assistenza: locali ampi e ben aereati ad uso dormitori e refettori e sale di soggiorno, infermerie, ecc., con tutti i servizi accessori, acqua potabile, bagni, riscaldamento … capaci di 65 posti letto ciascuno e costituiti da un unico pian terreno, ma con locali ampi e luminosi." (19)
Successivamente, verso la metà degli anni '30, fu costruito il padiglione Mingazzini per ospitare malati agitati che era in grado di contenere circa 65 posti letto. La deliberazione n°1757 del 1 novembre 1933 approvava il progetto per "lavori di costruzione di un Padiglione per Adulti Agitati"(20). Iniziati, dunque, nel 1933, i lavori proseguirono fino al 1938.
Nel dicembre 1943, a seguito del bombardamento subìto dall'ospedale neuro-psichiatrico d'Ancona, questi tre padiglioni dovettero ospitare anche 120 malati di questo manicomio, e le sue condizioni (già gravi per la guerra) divennero ancora più difficoltose.
Nel 1944, con l'arrivo del nuovo direttore Luigi Balietti, vennero iniziati ulteriori lavori, nonostante il periodo critico del dopo guerra. Nell'arco di tempo in cui Balietti diresse il manicomio (1944-1966), furono rinnovati i servizi di necroscopia, lavanderia e cucina, fu costruito un nuovo padiglione per le malate agitate, dedicato ad Ugo Cerletti (1955) e fu presa in considerazione la possibilità di ricostruire il padiglione Lombroso, cosa che poi effettivamente non fu mai messa in pratica. Tra gli importanti provvedimenti intrapresi da questo direttore va ricordato l'istituzione di un reparto aperto di Neurologia, che venne inaugurato nel 1949 (il primo ricovero in questo reparto è segnalato alla data del 1 ottobre dello stesso anno). Nel 1951 predispose l'acquisto di un elettroencefalografo, tra i primi istituti in Italia ad esserne provvisti e soprattutto diede una nuova organizzazione all'attività terapeutica, improntando le basi per le cure extra-ospedaliere, inserendosi e anticipando quanto verrà poi previsto dai successivi decreti legislativi a partire dalla legge n.431 del 1968: avvalendosi del supporto di un assistente sociale infatti veniva garantita la continuità terapeutica fornendo un servizio di assistenza agli ex ricoverati dimessi e ritornati presso il loro domicilio. Queste visite permettevano di garantire la somministrazione dei medicinali e controllare la situazione al fine di una completo reinserimento.
Nel 1966 ricevette l'incarico di direttore il dott. Enzo Corradini, già medico di sezione e responsabile del settore femminile dell'istituto, assunto per concorso nel 1968. Nello stesso anno divenne direttore del Centro di igiene mentale (21) e si trovò ad amministrare l'istituto nel delicato momento dell'introduzione delle note leggi di riforma dell'assistenza psichiatrica (n. 431 del 1968 e n.180 del 1978).
La prima di queste leggi infatti reclamava un superamento del concetto di assistenza di tipo carcerario a beneficio di un indirizzo sanitario che fosse diretto a curare e proteggere i malati di mente invece di segregarli. Poneva come obiettivo il superamento del concetto di ospedale psichiatrico nella vesti di unica istituzione deputata ad assolvere i bisogni della salute mentale della popolazione provinciale e fondava le premesse per la creazione di una rete di organismi ospedalieri, para-ospedalieri e extra-ospedalieri concepiti sulla base del territorio e delle particolarità geografiche e demografiche attraverso l'istituzione di presidi. Tale riorganizzazione venne denominata appunto"Psichiatria di settore".
L'assistenza psichiatrica diventava quindi un processo più ampio, del quale l'ospedalizzazione doveva essere considerata una tappa, non più necessaria ma comunque spesso indispensabile, di un trattamento diretto al malato visto ora come individuo sociale e non più come reietto della società al quale venivano levati diritti individuali, tanto che le disposizioni legislative (il regio decreto del 1904) disponevano la registrazione del ricoverato nel casellario giudiziario in ragione della sua pericolosità.
Il Corradini si occupò di dare applicazione a queste nuove direttive: fu attuata la settorizzazione attraverso l'individuazione dei 3 settori principali (Macerata, Civitanova, Camerino), successivamente ampliati. Il Corradini riteneva che fosse essenziale che le suddivisioni territoriali fossero rispecchiate nella divisione psichiatrica ospedaliera, ricalcando all'interno dei nuclei ospedalieri la topografia settoriale del territorio provinciale. La conseguenza di tale operazione fu che ogni settore ospedaliero veniva alimentata esclusivamente dai malati provenienti da una determinata zona, raggruppati non più sulla base dello stato di salute (che aveva comportato un'esclusione dei cronici dalle attività terapeutiche spesso concentratesi sui malati tranquilli e semitranquilli con possibilità di recupero) ma sulla provenienza. Il primo settore ad essere avviato fu quello relativo alle ricoverate di Camerino, Tolentino e Recanati, accorpate nel padiglione Cerletti e seguite da un'equipe specifica fin dal 1973. Il successivo settore fu quello di Macerata e Civitanova e solo alla fine degli anni '70 venne applicata tale suddivisione anche al settore Uomini, quando venne supplita l'inadeguatezza degli edifici a rispondere alle necessità che tale operazione comportava.
Il Corradini riteneva che il vantaggio di questa settorizzazione fosse di ospitare all'interno dello stesso reparto malati con una gamma assai vasta di recuperabilità e avere un arco evolutivo delle malattie mentali concentrato, eliminando così l'affollamento di semi-cronici e cronici in un unico ambiente e poter seguire tale settore con delle equipes specializzate supportate dalle assistenti sociali.
Allo stesso tempo vennero incrementate le attività ricreative e la creazione di laboratori protetti per applicare al lavoro i ricoverati.
Nel 1974 inoltre venne assunto un igienista per la direzione del Laboratorio di igiene e analisi chimico-cliniche interno all'Ospedale psichiatrico, con la funzione di seguire le vaccinazioni e svolgere un'attività di tipo preventivo per le malattie infettive: l'incarico venne affidato al dott. Carlo Alberto Nittoli.
Nel 1978 con la legge 180 che sanciva lo smantellamento degli Ospedali psichiatrici, il Corradini in qualità di direttore dei Servizi psichiatrici venne nominato direttore del gabinetto di Elettrofisiopatologia e Elettromiografia, servizi che vennero mantenuti con la chiusura dell'ONP e la sua trasformazione in Centro residenziale a carattere non ospedaliero a partire dal gennaio del 1981 (CRAS).
Al momento di entrata in vigore della legge presso l'Ospedale psichiatrico di Macerata erano presenti 380 degenti, che vennero trasferiti nel CRAS fino al 1998. Gli Ospiti furono distribuiti all'interno dei padiglioni Bianchi e Cerletti (le donne) e Tanzi e Centrale (gli uomini). Il Padiglione centrale in seguito a lavori di ristrutturazione venne sistemato per ospitare gli uffici dell'Amministrazione della Usl, erede dell'Amministrazione provinciale per la competenza dei servizi psichiatrici. La parte centrale, prima riservata ai servizi comuni, venne poi adibita ad ufficio direzionali. Solo l'ala di fianco alla chiesa mantenne la sua destinazione d'uso originaria di ricovero per malati cronici fino al 1998 per essere definitivamente sgombrata Il 20 dicembre 1998.
Normativa
Dal punto di vista normativo l'istituto maceratese era regolato dallo "Statuto Organico e Regolamento disciplinare per nuovo Manicomio Provinciale di Macerata" la cui edizione fu accompagnata dal già più volte citato "Discorso Preliminare di Giuseppe Girolami" in occasione dell'inaugurazione del 1 luglio 1871.
Lo statuto definiva la fondazione, illustrandone lo scopo e la modalità di amministrazione. Il regolamento disciplinare organizzava la pianta organica del personale con le rispettive funzioni. L'amministrazione dell'istituto era affidata all'economo il quale aveva la responsabilità della cassa dello Stabilimento, di cui rispondeva direttamente alla Deputazione provinciale. A questo scopo era incaricato di compilare i bilanci preventivi, il conto consuntivo, l'inventario di tutti gli effetti mobili e il registro del loro movimento, ed era alle dirette dipendenza del Direttore. La delibera del consiglio provinciale del 14 agosto 1876 introduceva l'impianto del nuovo economato centrale, facendo cessare quello del manicomio e di ogni altro istituto. Di conseguenza il direttore aveva la responsabilità dell'andamento dell'Istituto - la parte curativa, disciplinare e dell'amministrazione interna - mentre quella cosiddetta esterna veniva affidata all'economo dell'ufficio centrale amministrativo. Il direttore medico veniva assistito nelle sue funzioni dall'aiuto la cui funzione principale era quella di seguire la visita della mattina del direttore nelle varie sezioni registrando negli appositi registri le prescrizioni del suo superiore, informandolo riguardo alla storia nosografica di eventuali nuovi ammessi. Era inoltre prevista la figura del farmacista, il quale esercitava la sua professione all'interno dell'Istituto in un luogo a questo deputato prossimo al gabinetto del direttore e in stretto contatto con l'equipe medica provvedeva alle richieste della direzione riguardo la terapia degli alienati.
Prima del 1904, in assenza di una normativa organica del settore, le uniche leggi afferenti alla materia erano quelle di pubblica sicurezza, la legge comunale e provinciale, per quel che concerneva la spesa di mantenimento dei folli poveri (22) e, infine, la legge sulle Opere Pie del 17 lug. 1890, n. 6972, per quel che riguardava il mantenimento di folli non pericolosi a sé ed agli altri. I criteri fissati trovarono differente applicazione sul territorio nazionale, come la modalità di ammissione in manicomio, risolte con soluzioni differenziate da città a città.
A Macerata la Deputazione provinciale aveva sancito delle norme precise al fine di disciplinare al meglio questo aspetto fin dai tempi dell'inaugurazione della struttura nel 1871: con la delibera del 24 novembre in conformità con gli artt. 13-14 dello statuto del manicomio venivano indicate le modalità di presentazione della domanda di ammissione. Questa era da indirizzare alla Deputazione provinciale corredata di attestazione giudiziaria di un medico e due testimoni comprovante la reale esistenza dello stato di follia, la fede di nascita dell'alienato, lo stato di famiglia e la relazione medica sulla base di un modulo prestampato per le indicazioni personali e cliniche. La deputazione avrebbe poi avuto il compito di trasmettere i documenti al direttore il quale avrebbe espresso il suo parere. Con il parere del direttore la Deputazione si riservava di deliberare definitivamente sull'ammissione o il rigetto della domanda. In caso positivo, il demente veniva accompagnato al manicomio da una persona incaricata che doveva assicurare sull'identità dell'alienato.
Per l'ammissione dei mentecatti poveri tutti i documenti dovevano essere trasmessi alla Deputazione per mezzo del sindaco del luogo di dimora del mentecatto. La provincia avrebbe assunto il mantenimento e la cura di coloro che, attestata la loro reale povertà, fossero stati pericolosi a se stessi e agli altri per il loro stato mentale e di grave scandalo ai buoni costumi e alla pubblica morale. In questi casi il medico doveva esplicitamente indicare che l'alienazione fosse tale da compromettere l'ordine pubblico e aggiungere alla documentazione lo stato di povertà del Sindaco.
L'alienato ammesso in manicomio per prima cosa veniva sottoposto al controllo dell'Ispettore, in modo da sottrarre qualsiasi oggetto che potesse dimostrarsi pericoloso a sé o agli altri. Tolti gli indumenti che portava gli veniva data una divisa e il denaro eventualmente posseduto veniva depositato insieme agli averi al direttore e registrati in un apposito registro. Il ricoverato prima di essere sottoposto alla diagnosi del medico - che l'avrebbe destinato ad una delle sezioni sopra descritte - veniva sottoposto a un bagno, venivano rasi i capelli e tagliate le unghie. A partire dalla legge del 1904 sugli alienati i beni dei poveri assistiti dalla Provincia, dopo 6 mesi dalla loro morte, se non fossero stati reclamati passavano in proprietà dell'ente provinciale per evitare l'inutile accumulo di oggetti.
Con le "Disposizioni sui manicomi e gli alienati" contenute nella legge n.36 del 1904 furono introdotte nuove disposizioni riguardo le modalità di internamento: i requisiti erano stati fissati con la pericolosità e il pubblico scandalo che determinavano l'allontanamento e la reclusione in istituti di cura e ricovero. La reclusione da una parte comportava la cura e la custodia all'interno del manicomio dall'altra sanciva il definitivo allontanamento e esclusione dalla società civile: infatti gli "alienati" venivano iscritti nel casellario giudiziario e perdevano ogni diritto individuale. La richiesta di ricovero poteva essere inoltrata da parenti, da un tutore o da un qualsiasi cittadino che faceva scattare l'obbligo di ricovero coatto, autorizzato in via provvisoria dal Pretore e poi, al trascorrere di 30 giorni, sulla base della relazione del Direttore del Manicomio e su istanza del Pubblico Ministero, confermata in forma definitiva.
L'emanazione della legge n.36 del 1904 trovò la sua piena applicazione con il R.D. del 16 Agosto 1909 n.615 che accolse almeno in parte le richieste della Società Freniatrica. Per incentivare il ricovero dei folli cronici in asili specifici, il decreto sanciva che fosse "consentito dal Tribunale su richiesta del Procuratore del Re, la cura in una casa privata e in tal caso il malato e il medico […] sottoposti agli obblighi imposti dal regolamento" (art. 1, comma 2). Oltre a ciò venivano previste le dimissioni in prova: "il direttore del manicomio può ordinare il licenziamento in via di prova dell'alienato che abbia raggiunto un notevole grado di miglioramento e ne darà immediata comunicazione al Procuratore del Re e all'autorità di Pubblica Sicurezza " (art. 3, comma 5).
Di conseguenza vennero definiti nuovi regolamenti all'interno degli istituti manicomiali in tutto il Regno, aggiornati sulla scorta delle nuove disposizioni legislative. La delibera del Consiglio provinciale del 29 dicembre del 1909 decretava le "Modificazioni allo Statuto del Manicomio secondo la nuova legge sui Manicomi e sugli Alienati" in seguito alla pubblicazione della legge del 14 febbraio n. 36 e del Regolamento attuativo approvato il 10 agosto del 1909. Veniva inoltre modificata la tabella della pianta organica, allegata allo Statuto, sulla scorta delle deliberazioni del Consiglio del 30 Novembre 1908, con le quali erano stati approvati miglioramenti alle condizioni economiche del personale, dando così risposta ad una questione di lungo tempo e che aveva attanagliato la direzione dell'istituzione negli anni precedenti.
Il nuovo regolamento - che venne definitivamente approvato dopo ulteriori modifiche apportate nel 1914 dal Consiglio superiore della sanità e che rimase in vigore per tutta la durata dell'Istituto - lasciava immutati i primi cinque articoli e introduceva all'art. 6 le nuove responsabilità del direttore in conformità con quanto introdotto dalla legge sugli alienati e relativamente all'andamento dell'Istituto. All'art. 8 si stabiliva che la Deputazione provinciale la quale era responsabile dell'amministrazione delegava un commissario, di sua nomina, alla sorveglianza e per le proposte relative all'ambito economico.
Seguiva la riforma della pianta organica, problematica che occupò per molti anni le direzioni dei manicomi e le relative deputazioni provinciali a livello italiano, come dimostrato nella corrispondenza relativa a quegli anni costituita da numerosi questionari che venivano inoltrati e fatti circolare tra i vari enti al fine di trovare una linea comune di indirizzo nella gestione del personale (23).
La legge successiva (n.431 del 1968) che modifica la situazione immutata dall'inizio del secolo e sopra descritta introdusse una nuova attenzione alla situazione degli Ospedali psichiatrici, riducendo le dimensioni di queste strutture, stabilendo regole e delimitazioni in merito ai posti letto e alle divisioni e introducendo una nuova proporzione tra personale di cura e ricoverato (1 a 4). Per quanto potesse essere difficile mettere in pratica queste nuove disposizioni soprattutto in ragione della costante mancanza di personale, del quale diversi direttori del Manicomio di S. Croce non mancarono di lamentarsi nel tempo, l'innovazione fu nella nuova impostazione metodologica che favoriva un intervento psicologico e psicosociale non più restrittivo e coercitivo e permetteva di prospettare un futuro reinserimento nel contesto sociale di provenienza del ricoverato. Inoltre il legislatore aveva introdotto all'art. 4 la possibilità del ricovero volontario: con questo veniva abolita la registrazione del ricoverato nel casellario giudiziario e veniva mantenuto l'esercizio di voto.
Un'altra parte importante di questa legge fu l'istituzione di servizi a livello territoriale che potessero garantire una continuità terapeutica per i ricoverati dimessi presso il loro luogo di residenza: a questo fine venne creato il Centro di igiene mentale, noto come CIM, strutture ambulatoriali di supporto terapeutico e sociale per i ricoverati rientrati nel loro territorio di origine. Venne infatti istituito tale servizio a Macerata e sul territorio attraverso l'attivazione di tre dispensari (Macerata, Civitanova e Camerino) il cui direttore era lo stesso Enzo Corradini.
Il passo finale fu l'approvazione della legge 180/78 con la quale si procedeva alla chiusura delle istituzioni manicomiali, decretando il divieto di ulteriori ricoveri all'interno degli Ospedali psichiatrici e l'avvio ad un nuovo concetto di salute mentale che potesse essere garantita da una serie di strutture sul territorio al fine di rendere il servizio psichiatrico un ausilio attivo e non più una forma di reclusione sociale.
L'Ospedale venne dismesso dalle sue funzioni e la struttura mantenne le sue funzioni di struttura assistenziale come Centro di riabilitazione per l'Assistenza socio-sanitaria per il residuo manicomiale fino al 1998, anno della definitiva chiusura.
1-Archivio Notarile di Macerata, S.Salustri, Vol. 4782, pp. 168-177, in Archivio di Stato di Macerata (poi citato A.S. MC).
2-Gli altri Ospizi realizzati nelle Marche negli anni a seguire furono quelli di Pesaro, aperto nel 1829, di Ancona nel 1840 e a Fermo dopo il 1854.
3-Nelle Marche il decreto di soppressione venne emanato dal commissario generale straordinario Lorenzo Valerio il 3 gennaio 1861 (decreto n. 705 artt. 1, 20), sulla scorta della precedente Legge Rattazzi (L. 29 mag. 1855, n. 878, detta): secondo tale provvedimento legislativo gli enti ecclesiastici che non attendevano alla predicazione, all'educazione o all'assistenza degli infermi venivano soppressi e i beni vennero destinati a un ente autonomo, la Cassa ecclesiastica, appositamente istituito per la gestione dei patrimoni degli enti religiosi soppressi.
4-Archivio Provincia di Macerata (poi citato A..P.MC ) versamento "Statuto organico e regolamento disciplinare per nuovo manicomio provinciale di Macerata e discorso preliminare di Giuseppe Girolami", Macerata 1871, b. 456 in A.S. MC. Giuseppe Girolami fu il direttore del Manicomio di Santa Maria della Pietà di Roma a partire dal 1870, nonché membro della Società medico-psicologica e della Società della Medicina Legale di Parigi e socio della Reale Accademia di Medicina di Torino, fu uno dei più attivi teorici ad introdurre il registro per l'analisi statistica sulla base dei dati anagrafici e clinici. Ulteriori informazioni relative all'apertura del nuovo manicomio e assunzione di personale in A.P. MC , I versamento, b. 437 in A.S. MC.
5-"Statuto e regolamento…" op.cit. pp. 1
6-Manicomio Provinciale di Macerata, album n. 26, foto n. 3 "Prospetto dell'ala sinistra del fabbricato centrale (soggiorno e passeggio per malati tranquilli)" in A.S. MC.
7- "Brevi memorie sul Manicomio Provinciale in S. Croce redatte dietro richiesta del sig. Ing. Collaudatore. Macerata, 28 Novembre 1879, firmato l'ingegnere provinciale Tombolini" cit. in "Statuto e regolamento.." op. cit. p. 5.
8- Enrico Morselli (1852- 1929) Si laurea in Medicina nel 1874. Lo stesso anno entra nel manicomio di San Lazzaro di Reggio Emilia, avendo per maestro Carlo Livi e per compagno Augusto Tamburini. Nel 1877 consegue la libera docenza in Psichiatria e diviene direttore dell'ospedale psichiatrico di Macerata. Nel 1880 è nominato direttore dell'ospedale Psichiatrico di Torino, dove ha per collaboratori Gabriele Buccola ed Eugenio Tanzi; forte oppositore dei mezzi di coercizione, nonostante le molte opposizioni, riuscì nel suo intento presso questo manicomio. Nel 1889 consegue la cattedra di psichiatria a Genova, dove diventa ordinario nel 1891 ed insegna anche Psicologia Sperimentale, oltre a corsi liberi di Antropologia generale, antropologia criminale, neuropatologia ed elettroterapia. Nel 1875 fonda insieme con Livi e Tamburini la "Rivista sperimentale di Freniatria", nel 1878 la "Gazzetta del Manicomio" a Macerata, nel 1881 la "Rivista di Filosofia scientifica", nel 1897 con Tanzi la "Rivista di Patologia Nervosa e Mentale", nel 1911 con Assagioli il periodico "Psiche"; nel 1914 assume la direzione dei "Quaderni di Psichiatria".Nel 1914 prende la direzione della Società Freniatrica Italiana.
9-E. Morselli - A. Tamburini, La mente di Carlo Livi, in "Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale", V (1879), pp. 1-33; Ivi, VI (1880), pp. 1-16.
10- A.P.MC 1versamento, b. 459 in A.S. MC.
11- Si veda la pianta riportata nel primo numero della "Gazzetta del Manicomio" gennario 1878 in A..P.,MC 1 versamento, b. 456 in A.S. MC.
12- A..P.MC , I versamento, b. 453 in A.S. MC. Tale relazione era prevista nello Statuto, all'art.11, e illustrata l'operato del direttore relativamente alle sue competenze e responsabilità, per informare su questo l'Amministrazione provinciale.
13- A..P. MC, I versamento, b. 453 in A.S. MC
14- "Regolamento Disciplinare", 1871, cap. 6.
15-"Regolamento Disciplinare", 1871, cap. 10, art. 68.
16- Atti del XI congresso della società freniatrica italiana in Rivista sperimentale di freniatria, vol. XXVIII, p. 300, 464-465.
17- A.A.P, II versamento, b. 962 in A.S. MC
18- A.A.P., I versamento, b. 531 in A.S. MC
19- "La provincia di Macerata, realizzazioni e bellezze", in Opere Pubbliche- Rassegna Mensile Illustrata, Roma, maggio-luglio 1934, n. 5-7.
20- A.A.P., I versamento, b. 533 in A.S. MC
21- Si rimanda allo specifico archivio e alla descrizione storica relativa al Centro di Igiene Mentale.
22- Legge n. 10 del 19865, art. 172, comma 6.
23- A.A.P., 1 versamento, b. 529, in A.S. MC
Redazione e revisione:
Mannucci Francesca, 28/02/2011, Schedatura, ordinamento, inventariazione
Bibliografia:
FOGLIETTI RAFFAELE, R. FOGLIETTI, Guida di Macerata e suoi dintorni: illustrata da 28 incisioni e dalla pianta topografica, Macerata, 1905
BONIONI L., L. BONIONI, "La Provincia di Macerata", Macerata 1906, pp. 195-200.
BALIETTI LUIGI, L. BALIETTI," L'ospedale neuro-psichiatrico", in Storia di Macerata, Vol. V, 1977, pp. 419-423.
RUFFINI ROMANO, R. RUFFINI, "Note sull'assistenza psichiatrica a Macerata nella prima metà dell'Ottocento", Macerata 1986.
VEROLI SEBASTIANO FRANCO, S. F. VEROLI, "Donne in manicomio: le ricoverate in S. Croce nel decennio 1890-1900. Il caso di Ernesta Cottino Faccio", Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea "M. Morbiducci", Macerata,1998.