CARACCIOLO: "Antichissima e storica Famiglia del Patriziato Napoletano del Seggio Capuano, ed ascritta in tutti i rami tutt'ora esistenti al Libro d'oro napoletano. Feudataria da' più antichi tempi e ricevuta nell'Ordine Gerosolimitano dal 1378, raggiunse i più alti Uffici e le preclare dignità dello Stato e della Chiesa; è stata più volte investita di alcuno dei Sette Grandi Uffici del Regno, e fra gli altri, ereditariamente, di quello di Gran Cancelliere. Si ebbe l'onore del Grandato di Spagna, ed è stata pur decorata del Toscon d'oro, dell'Insigne e Regale Ordine di S. Gennaro, e di altri importanti ed illustri Ordini Cavallereschi".
CARACCIOLO PISQUIZI - RAMO D'ARENA: Dalla seconda linea del ramo Caracciolo Pisquizi trae origine il ramo d'Arena. In virtù di istrumento del 10 gennaio 1694, per mano di notar Aniello Gattola di Napoli, Gio. Geronimo Acquaviva, duca d'Atri, vende lo stato d'Arena e i suoi casali a Geronimo Caracciolo, già duca di Soreto. Nell'aprile del 1699 il Re di Spagna Carlo II concede alos tesso Don Geronimo il titolo di Marchese sul feudo di Arena. Alla morte di Geronimo Caracciolo il feudo d'Arena viene trasmesso al figlio Fabrizio, a cui succede nel 1763 il figlio Tristano. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1790 succede il figlio Pasquale l'ultimo Marchese d'Arena e duca di Soreto. Il ramo dei marchesi d'Arena e duchi di Soreto va ad estinguersi in Ana Caracciolo, figlia di Michele, e nella sorella Maria - Alicia.
IL FEUDO D'ARENA NEL SECOLO XVIII: D'una estensione territoriale notevole, lo Stato d'Arena, alla fine del '600, comprende i casali di Dasà, Acquaro, Semiatori (o Segnatone), Limpidi, bracciara, Pronia, Potami, Miglianò, Gerocarne e Ciano, tra il Tenimento di Mesima e Marepotamo e la Gran Foresta, congiungendosi con i tre casali dello Stato di Soreto, Daffinà, Dinami e Melicuccà. Lo Stato d' Arena restituisce l'immagine - tipo di un paese prevalentemente agricolo, vivo e brulicante d'attività. Un'attività comunque irreggimentata sui binari di un sistema feudale moderno. Fattori, mercanti, medici, farmacisti, notai, avvocati dirigono la vita del paese, svolgono la funzione di intermediari, è dubbio se consapevolmente, tra lo Stato e gli amministrati, e tra il marchese e i vassalli, lasciando predominare i propri interessi particolari, insinuandosi negli spazi lasciati vuoti dai Padroni del Feudo, e infine sostituendosi completamente ad essi, nella proprietà delle tere, nei modi d'essere e nei comportamenti. A poco a poco essi erodono il patrimonio immobiliare della famiglia aristocratica, che risiede nella Capitale, troppo distante per occuparsi dei feudi calabresi, e incapace di resistere ad un destino già segnato: la grande nobiltà muore, si dileguano le ragioni dei diritti di sangue, per far posto agli universali diritti di uguaglianza, libertà e fraternità.